Nell’ottobre del 2006 ho ricevuto dall’allora Direzione Orfanotrofi e Conservatori (ora ASP – Azienda Servizi alla Persona) l’incarico di provvedere ad una nuova schedatura dei quadri e degli altri oggetti che dal 1974 sono stati depositati presso i Musei Civici d’Arte Antica.

Fine dell’operazione, oltre ad un mero aggiornamento delle precedenti schedature, era quello di ricostruire la formazione della collezione e, per quanto possibile, la provenienza dei singoli pezzi[1]. A tal proposito, necessità contingente è stata quella di procedere all’inventariazione degli archivi dell’istituzione, ad oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Ferrara. Sebbene la storia e l’importanza di questo archivio meritino una più ampia ed approfondita trattazione, in questa sede ci limiteremo a considerarne il carattere lacunoso e a tratti frammentario. Infatti, nonostante la notevole mole, esso è povero di dati utili alle ricerche della storia dell’arte e poco ci dice sulle condizioni di vita delle persone ivi ospitate. Tale repertorio, costituito per lo più da atti patrimoniali e amministrativi, è corredato da elenchi di consistenza piuttosto sommari ed imprecisi per quel che concerne il contenuto delle singole buste. Va altresì rilevato che la documentazione in nostro possesso rappresenta solo una minima parte del materiale documentario originale sopravvissuto al raid aereo del 1943, che ha distrutto la sede dell’istituto e con esso gran parte dell’archivio.

Per questi motivi ho esteso le mie indagini a tutti gli altri archivi della città che potevano contenere notizie utili a delinearne il contesto. Nel presente articolo intendo appunto fornire una prima sintesi delle scoperte avvenute in fase di schedatura delle opere, assieme a quanto emerso negli anni successivi.

 

I Conservatori di Ferrara

Prima di addentrarci nello specifico, una premessa sull’origine e sulla funzione dei Conservatori appare quanto meno doverosa.

I Conservatori e gli Orfanotrofi appartengono alla categoria dei cosiddetti istituti di ricovero ed educazione, ossia enti preposti all’accoglienza e all’educazione di fanciulli rimasti orfani o comunque privi di qualcuno che se ne prendesse cura. Tali istituti assistenziali nascevano in risposta agli sconvolgimenti sociali causati da guerre, calamità naturali, carestie, pestilenze, contingenze negative la cui principale conseguenza era un aumento esponenziale del tasso di mortalità della popolazione adulta.
A partire dai primi anni Quaranta del XVI secolo, a Ferrara e in altre parti d’Italia, si assiste alla fioritura di simili istituti, specificatamente dedicati a questi soggetti.

Un primo elemento distintivo fra le varie tipologie di istituti era costituito propriamente dalla categoria dei destinatari a cui essi sceglievano di aprire le proprie porte. In primis vigeva un netto discrimine tra figli legittimi e illegittimi, i cosiddetti Esposti o Bastardini. In particolare, data la fortissima stigmatizzazione sociale, per questi ultimi si era resa necessaria un’ulteriore specializzazione che aveva condotto alla creazione di appositi istituti separati. Inoltre, mentre i Conservatori si occupavano di giovinette non ancora in età nubile, le cosiddette Zitelle (dal termine “citta” che designa per l’appunto una bambina o una ragazzina), gli Orfanotrofi si rivolgevano – salvo rare eccezioni – ai soli maschi.

Il modello architettonico adottato per entrambe le istituzioni risulta essere quello dell’unico edificio comunitario conosciuto all’epoca, ossia il convento/monastero. Non stupisce quindi che si trattasse per lo più di edifici organizzati attorno ad un cortile centrale, eventualmente arricchiti di orti o broili adibiti alla produzione di prodotti agricoli necessari alla comunità.

Il compito precipuo di questi istituti era custodire la verginità delle fanciulle abbandonate a sè stesse, garantendo la tutela dell’onore e la rispettabilità della donna intesa quale valore fondante della famiglia e, con essa, della società. In altre parti della penisola (Venezia, Napoli) queste istituzioni si trasformarono ben presto anche in centri di educazione musicale, ma ciò non avvenne a Ferrara dal momento che nello Stato Pontificio vigeva il divieto per le donne di esibirsi sulle scene. I Conservatori presenti a Ferrara in età moderna erano complessivamente sei, tutti fondati tra il 1544 (Santa Maria della Rosa) ed il 1721 (Santa Giustina) e due di questi (Santa Maria Bianca o Orfani della Misericordia e dal 1615 i Mendicanti) fungevano anche da orfanotrofi.

In linea generale, la struttura organizzativa si condensava attorno alla figura di una Madre Superiora, eventualmente affiancata da una “vice madre” che, con l’aiuto di alcune maestre addette all’istruzione, si occupava del governo delle ragazze. Al di sopra della Madre e delle maestre vi era una Congregazione di probi viri (una sorta di Consiglio di Amministrazione) generalmente costituita da mercanti, artigiani, legali etc., ai quali, dalla fine del XVII secolo, si unirono anche i nobili. Tale Congregazione rappresentava l’organo direttivo che decideva delle ammissioni, della gestione dei beni e dell’amministrazione in toto. Nella Congregazione entrava di diritto un rappresentante dell’autorità civile (Comunale) o religiosa (Legatizia e Vescovile) da cui formalmente dipendeva il conservatorio. Questi istituti godevano di propri regolamenti, che spesso vennero trasposti in forma scritta solo in epoca più tarda. Unica eccezione a noi nota sono gli Statuti del primo conservatorio ferrarese, quello di Santa Maria della Rosa, il cui codice manoscritto risale al 1544, anno di fondazione dell’istituto (fig. 1).

 

Dal “Consiglio di Amministrazione” dipendevano anche una serie di personaggi essenziali per la gestione dell’istituto, quali il contabile e il notaio o legale, preposto alla stesura degli atti e alla gestione delle numerose cause relative alla riscossione dei crediti o al mancato pagamento dei debiti.
Proprio i processi rappresentano la maggior parte della documentazione superstite, tanto da far pensare che essi fossero il cuore dell’attività amministrativa dell’istituzione. Ogni conservatorio infatti, godeva di cospicue rendite derivanti da varie proprietà terriere, affittate o date in livello a privati, e da alcuni dazi imposti su una serie di prodotti. Dalle proprietà fondiarie derivava buona parte delle risorse e dei prodotti necessari al sostentamento delle diverse comunità. Va da sé che la gestione di una simile attività, estremamente complessa e articolata, non fosse esente da problemi alla base di frequenti liti e contrasti.

Nel caso di Santa Margherita, al pari di quanto avveniva per i conventi, era espressamente prevista anche la figura di un “servo”. Tra i suoi compiti vi erano la gestione dei rapporti con l’esterno, l’eventuale spesa per conto delle ragazze, nonché la raccolta, la custodia e la distribuzione delle derrate alimentari. Questi inoltre provvedeva al cosiddetto “mezzo vino” (un vino edulcorato e dalla qualità inferiore, ottenuto dalla fermentazione ed ultima spremitura delle graspe già spremute), che costituiva una parte essenziale dell’alimentazione delle zitelle del conservatorio.

In tutti i Conservatori vi era poi anche il “sacerdote” che, oltre ad ufficiare la messa nella chiesa dell’istituto, fungeva anche da confessore/direttore spirituale, in una sorta di trait d’union fra la comunità e la superiore autorità.

Con il passare del tempo tutti i conservatori, specialmente quelli più poveri, deviarono dalle originarie funzioni assistenziali. In taluni casi essi vennero convertiti in riformatori per ragazze problematiche che, dietro pagamento di rette talora ingenti, venivano sistemate in questi “ritiri” per fini correttivi; in altri divennero veri e propri reclusori per vedove che sceglievano di ritirarsi dal mondo per sfuggire alle pressioni delle famiglie che le volevano nuovamente maritate. Per porre rimedio a questa situazione, più volte nel corso del XVIII secolo, si rese necessario l’intervento delle autorità affinché i posti a pagamento non fossero superiori a quelli riservati alle fanciulle povere ed abbandonate, con il rischio dell’esclusione di queste ultime.

Un cenno particolare merita il complesso dei Mendicanti che dal 1620 ospita anche i Poveri Vergognosi. Si trattava altresì di famiglie di estrazione sociale medio alta, tra i cui esponenti vi erano coloro che esercitavano mestieri liberali o che avevano sempre ricoperto cariche pubbliche, ma anche nobili che vivevano di rendita. Ciò che li accomunava risiedeva nel fatto che, improvvisamente e non per propria colpa, essi si erano ritrovati in povertà, incapaci di sostenere oltre le spese del tenore di vita naturalmente connesso al loro rango sociale. La loro condizione era ulteriormente aggravata dal fatto che, nella mentalità del tempo, il loro status sociale non consentiva loro di intraprendere attività manuali per mantenersi né tantomeno di chiedere l’elemosina.

Si veniva così a creare un particolare tipo di povertà dal notevole impatto sociale, considerato il ruolo economico e culturale rivestito da questi soggetti. La confraternita ferrarese dei Poveri Vergognosi risaliva addirittura al 1290. In seguito, nella primavera del 1491, essa fu riformata per intervento del predicatore fra Mariano Pomicelli da Genezzano che la trasformò nella Confraternita di San Martino e ne stilò le regole manoscritte, peraltro corredate da due miniature attribuite a Tommaso Bassi da Modena (fig. 2 e 3). Sulla falsariga di essa, tre anni dopo nacque la Confraternita dei Poveri Vergognosi di Bologna (1495).

 

 

Nel 1620 la confraternita ferrarese subì un nuovo riassetto grazie alla fusione con il nuovo Istituto dei Mendicanti. Inoltre, proprio questo dato ci permette di ascrivere al 1620 circa la grande pala d’altare del Bononi raffigurante La trasfigurazione (inv. DOC63), in cui sono osservabili mendicanti d’ambo i sessi ed un “povero vergognoso” (la figura nell’angolo destro)[2]. In primo luogo appena furono disponibili nuove entrate (la concessione nel 1620 del dazio sull’acquavite) dovettero iniziare i lavori di decorazione della chiesa che erano rimasti fino ad allora in sospeso. Nel dicembre del 1621, secondo quanto riportato da Barbara Ghelfi[3], muore il pittore Giovanni Andrea Ghirardoni, autore delle tele laterali con i santi Pietro e Paolo.

 

Dall’arrivo dei Francesi alla Direzione Orfanotrofi e Conservatori

Nell’anno 1796, con l’arrivo dell’esercito francese a Ferrara e la proclamazione della Repubblica Cisalpina, tutto il patrimonio ecclesiastico, e con esso le pie istituzioni a scopo di beneficenza, venne incorporato nel demanio statale. Per far fronte all’esigenze dei diversi istituti, la nuova amministrazione si trovò costretta ad utilizzare i molteplici legati pontifici, in sostituzione delle precedenti confraternite e associazioni non più esistenti.

A questo scopo il 6 Aprile 1798 venne istituita una commissione denominata Beneficenza Pubblica la cui «incombenza era di distribuire in elemosina ai veri poveri alcune somme, che si facevano andare in una cassa a ciò destinata. I membri che la compongono sono sei dei più probi cittadini»[4]. Essa tuttavia ebbe vita breve: in seguito alla legge del 5 settembre 1807, tale commissione venne soppressa e sostituita dalla Congregazione di Carità.

Il termine Congregazione (che deriva dal latino congregare, nel senso di radunare, riunire) rifletteva l’intento programmatico di riunire in un’unica amministrazione tutte le opere di carità presenti sul territorio. Naturalmente, la creazione di una amministrazione centralizzata, sottoposta a rigide norme e controlli e in grado di rispondere alla maggior parte dei bisogni dell’assistenza pubblica, sottraeva il patrimonio dei poveri alla gestione personalistica operata da conventi, confraternite e privati.

In ottemperanza alle nuove direttive anche l’antica Ca’ di Dio (Bastardini) ed i Conservatori vennero posti sotto il controllo della Congregazione suddetta e poi riuniti in un unico ente, noto come Gran Conservatorio. Tuttavia, in esso, che aveva sede nell’ex monastero di Santa Caterina da Siena (via Arianuova), confluirono dapprima solo pochi istituti per circa sei mesi, fra il 1798 ed il 1799. Poco dopo, a fronte dei ripetuti tentativi di restaurazione ad opera degli Austriaci, seguì un ritorno alla situazione precedente (1799-1800).

Con l’avvento definitivo del regime Napoleonico, agli inizi del 1801, il progetto del Gran Conservatorio riprese corpo con il trasferimento della sede nell’ex convento di San Guglielmo, nell’attuale via Palestro. Gli orfani maschi e gli illegittimi vennero così radunati nel nuovo collegio paramilitare di San Giorgio, già dei Mendicanti, dove ricevevano una formazione di tipo artigianale per essere impiegati come fabbri, carpentieri e falegnami, a supporto delle armate napoleoniche. Quest’ultima istituzione finirà per ispirare la penna di Bacchelli che, nel Mulino del Po, sceglierà di far transitare il protagonista, Lazzaro Scacerni, proprio nell’orbita di quest’istituto.

La Congregazione di Carità di Ferrara venne definitivamente soppressa il 14 agosto 1815. In questa sede fu attuata un’ulteriore divisione degli Orfanotrofi e Conservatori, distinti fra quelli di presunta fondazione ecclesiastica, posti sotto il controllo del Vescovo, e quelli di presunta fondazione laica sottoposti all’autorità del Cardinal Legato e denominati Orfanotrofi Laici. Un simile intervento segnò, in realtà, solo apparentemente un ritorno al passato ed alla situazione antecedente al 1798: difatti, il restaurato Governo Pontificio conserva la struttura e l’amministrazione della Congregazione precedente, limitandosi a mutarne la denominazione.

Negli Orfanotrofi Laici vennero radunati gli istituti già concentrati nel Gran Conservatorio (Mendicanti, Orfani della Misericordia, Santa Margherita, Sant’Agnese e Santa Maria della Rosa). Con la cessione dei locali di San Guglielmo la sede venne spostata nei locali dei Mendicanti, presso la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo. L’istituzione manterrà il proprio nome sino al 1862; solo agli inizi del XX secolo avrà luogo la definitiva scansione in Orfanotrofio Umberto I, l’istituto maschile, e Conservatorio della Provvidenza, quello femminile.

  

Il Conservatorio di San Giovanni Battista

Un caso particolare nella storia degli orfanotrofi ferraresi è certamente quello di San Giovanni Battista. L’istituto trova sede all’interno dell’ex convento e chiesa omonimi, nell’attuale via Montebello. Il complesso, una volta inglobato nel demanio, in un primo tempo era stato adibito a sede della pia Casa dei Catecumeni, istituzione che si poneva come obiettivo la conversione degli ebrei al Cristianesimo.

Poco dopo, in un’ottica di razionalizzazione, ad essa si era aggiunta la Confraternita del Riscatto che si occupava di riscattare i cattolici che erano caduti prigionieri dei pirati musulmani che infestavano il Mediterraneo. Ben presto le due istituzioni avevano dato vita ad una proficua compenetrazione in quanto, non di rado, questi soggetti, per salvarsi la vita, erano costretti a convertirsi all’Islam divenendo così dei rinnegati.

 Nel 1831 la condotta delle ragazze indigenti abbandonate a sé stesse suscitò un grave scandalo. Accusate di vagare sino a tarda notte per bettole e locali, esposte alla mercé degli avventori e potenzialmente facile preda della prostituzione, il loro comportamento gettava ombra sulle istituzioni e attirava loro il pubblico discredito.

Per meglio chiarire la situazione basti osservare i due editti che seguono:

La classe indigente dev’essere la figlia prediletta della Religione Cattolica, e la pupilla dell’occhio di chi governa. Dietro tali principi non possiamo soffrire senza orrore del nostro spirito l’abuso introdotto in questa città, e detestato da tutti i buoni, di vagare pubblicamente le giovanette nella sera per i caffè, osterie, bettole e strade pubbliche a chiedere l’elemosina e trattenersi, anche a notte avanzata, con evidente pericolo di malcostume e di scandalo. A rimediare opportunamente a tal disordine, ordiniamo a tutti i genitori indigenti, ed a tutti gli altri ai quali incombe la cura delle putte mendicanti, di ricoverarle nelle rispettive case all’Ave Maria della sera, sotto pena d’arresto e di un mese di carcere ai trasgressori. Se vi sono fanciulle orfane di padre e madre e prive di Ricovero si denunciano all’ufficio della Polizia, onde prendere in favor loro gli opportuni provvedimenti a seconda delle regole della Cristiana Carità. […]

Le fanciulle che, sconoscenti la presente disposizione, si troveranno dopo l’indicata ora vaganti, saranno raccolte e tradotte all’Ufficio di Polizia al quale è già stata data istruzione del luogo dove dovranno essere assegnate. Gli agenti di Polizia, e la forza pubblica sono incaricati dell’eseguzione[5]

Impietositi dalla situazione, un gruppo di sacerdoti ferraresi guidati dal sacerdote romano Gioacchino Pedretti, si rivolse al Legato che acconsentì alla creazione di una Casa di Ricovero destinata all’accoglienza delle ragazze pericolanti (mendicanti abbandonate a sé stesse ed esposte al rischio della prostituzione) e pericolate (ragazze madri e giovani prostitute), ma che prevedesse anche una sezione dedicata ai maschi. Nell’intenzione originaria vi era l’istituzione di un ente assistenziale, a carico del Comune e degli Orfanotrofi Laici; questi ultimi in particolare avrebbero dovuto mettere a disposizione i locali adiacenti al Conservatorio dei Mendicanti e quelli di Santa Maria della Consolazione, nell’odierna via Mortara. Ma, contrariamente alle aspettative, l’esperimento non ebbe esito felice: il solo locale impiegato fu probabilmente quello di Santa Maria della Consolazione, che era già servito come Lazzaretto, e che fu aperto unicamente alle ragazze.

Il 10 luglio 1834 i Cavalieri di Malta, in procinto di trasferirsi a Roma, consegnarono alla Casa di Ricovero di San Giovanni Battista i locali della chiesa e del convento omonimi. Artefice di tutta l’operazione fu il Prolegato Fabio Maria Asquini. La scelta del nome Casa di Ricovero, con la specificazione per Pericolanti e Pericolate di San Giovanni Battista, non è casuale. Ancora una volta il governo pontificio mancava di offrire una risposta ad una problematica contingente. Ancora una volta, in luogo della casa di ricovero per accattoni e mendicanti che la città chiedeva a gran voce, veniva concesso l’ennesimo conservatorio per la tutela dell’onore femminile. Con questa decisione, tutti i quadri e gli oggetti conservati nella chiesa e nell’ex convento entravano di fatto a pieno titolo nella collezione oggetto del presente intervento.

In questo frangente, il caso del Conservatorio di San Giovanni Battista risulta particolarmente anomalo. Esso è l’unico, tra tutti gli istituti rappresentati nella collezione, a non essere concepito sin dal principio come Conservatorio, un dato questo che si riflette anche sulla tipologia dei quadri. Si tratta per lo più di grandi pale d’altare, già presenti nella chiesa a cui, a partire dalla fine del XIX secolo, si aggiungono anche quadri devozionali, lasciati in eredità al conservatorio stesso.

Nel 1856, a seguito di un’epidemia di colera, grazie alla rendita assicurata da un assegno dell’Opera Pia Bonaccioli, il complesso divenne sede della Casa di Ricovero delle Orfanelle di San Giovanni Battista. L’istituto, altrimenti noto come Conservatorio di San Giovanni Battista, rimase attivo fino agli anni ‘80 del XIX secolo, quando ebbe luogo la sua chiusura definitiva. Da questo momento in poi il convento e la chiesa seguiranno destini differenti.

L’ex convento verrà di fatto venduto negli anni ‘20 del Ventesimo secolo, mentre la chiesa, sotto la proprietà della Direzione Orfanotrofi e Conservatori, sarà riaperta al culto nel 1938, grazie al considerevole contributo economico fornito dai Cavalieri di Malta. La riapertura della chiesa inoltre si accompagna ad un intervento mirato di ricollocazione delle opere, secondo un particolare allestimento escogitato da Eugenio Righini, su incarico del presidente dell’Istituzione Alberto Verdi.

 

Caratteristiche della quadreria

In primo luogo è opportuno precisare che quella a cui ci trova dinnanzi non è una collezione bensì una quadreria. Composta da una novantina di quadri, essa è frutto delle continue soppressioni ed accorpamenti subiti da quegli istituti assistenziali cittadini che erano preposti alla tutela delle ragazze orfane o abbandonate a sé stesse, purché legittime.

Parimenti interessante è la collezione dell’istituto degli Esposti o Bastardini, istituto dalla differente storia amministrativa, ma sul quale non ci soffermeremo in questa sede.

Esaminando la quadreria degli ex Orfanotrofi di Ferrara (ora ASP), un primo dato emerge con particolare evidenza: si tratta esclusivamente di dipinti di soggetto sacro. Mancano infatti esempi di opere di soggetto profano, dai ritratti dei benefattori e degli amministratori o comunque sia altri normalmente presenti nei patrimoni di queste istituzioni.

Il fatto è facilmente spiegabile: oltre alle fisiologiche dispersioni intervenute nel corso della storia, un importante fattore di complicazione è dovuto al bombardamento aereo che nel 1943 distrusse gran parte della sede degli orfanotrofi, centrando in pieno la sala del Consiglio dove i dipinti erano stati radunati.

Un secondo elemento che emerge dallo studio degli inventari sopravvissuti è che, fatta eccezione per le poche grandi pale d’altare, la quasi totalità di queste immagini non era ubicata nelle chiese dei diversi Conservatori, bensì dislocata nei locali interni alle istituzioni. La ragione di ciò risiede nel fatto che tali tele erano per lo più destinate alla devozione privata e all’indottrinamento delle giovani ospiti.

Come già in parte espresso in un mio precedente intervento, queste tele avevano lo scopo di “movere”, nel senso latino del termine, ossia di suscitare l’identificazione emotiva dell’osservatore con il soggetto dipinto, così da indurlo all’apprendimento dei valori e delle norme di condotta di cui la tela di rendeva interprete e portavoce.
In tal senso si può parlare di “pittura degli affetti”, applicando la definizione anche a tele settecentesche che in teoria risponderebbero ad altri canoni estetici.

Per quel che concerne l’indagine documentaria, nel presente articolo mi limiterò solo a riportare alcuni cenni su quanto emerso in fase di ricerca preliminare.
Quest’ultima, condotta sulla letteratura storico-artistica pubblicata nella Ferrara dei secoli XVI-XIX, pur fornendo alcuni plausibili spunti di identificazione, non ha tuttavia condotto ad un pieno scioglimento della questione. Tali scritti infatti descrivono solo quanto si trovava nella chiesa esterna dell’istituto, aperta al pubblico, mentre poco e nulla si sa sui locali interni, in cui era conservata la maggior parte dei dipinti.

 

La ricerca d’archivio

Premessa sostanziale e precipua al lavoro di catalogazione della collezione è stata certamente quella della ricerca d’archivio. Lo studio bibliografico ha reso opportuno il confronto dei dati desunti da una molteplicità di fonti e archivi, nel tentativo di ricostruire i vari nuclei originari.

In merito all’Archivio degli Orfanotrofi, tale superfondo è – come si è detto – piuttosto parco di indicazioni utili al nostro scopo. Il materiale in questione è costituito essenzialmente da una serie di inventari generali, redatti nel 1891 e 1898 e relativi ai beni appartenenti ai vari istituti, a cui si aggiunge un inventario generale che attesta quanto conservato nel Conservatorio della Provvidenza al 1954. Tale repertorio, dattiloscritto ma corredato di postille e aggiunte successive, risulta particolarmente interessante in quanto, pur essendo molto recente, mostra la collezione poco prima del deposito ai Musei Civici di Arte Antica. Da esso inoltre possiamo dedurre anche le ragioni alla base dello stato di conservazione della maggior parte del materiale. Fatta eccezione per le poche tele di pregio, conservate nella chiesa o nella sala del consiglio, il grosso della collezione era stato stipato in uno sgabuzzino cieco tra la cucina e la lavanderia, ubicazione certamente non ottimale per la conservazione di dipinti. Ad essi si aggiungano anche alcuni inventari redatti dai singoli conservatori (quasi tutti del tardo XVIII secolo), che appaiono sporadicamente all’interno della documentazione patrimoniale, e il cosiddetto Inventario dei mobili di San Giovanni Battista, databile al 20 giugno 1938, in concomitanza con la riapertura della chiesa.

Sempre rimanendo alla documentazione dell’archivio Orfanotrofi, fra le carte non consegnate all’Archivio di Stato di Ferrara e conservate presso l’Archivio dell’ASP, occorre segnalare una serie di documenti relativi alla chiesa di San Giovanni, documenti che ne attestano la trasformazione in Conservatorio, ed un fascicolo – ascrivibile al XX secolo – relativo alla quadreria, contenente le schede realizzate dalla Soprintendenza alle Belle Arti ed altro carteggio.

Degno di nota è ancora un fascicolo di inventari, che vanno dal 1639 al 1757, relativo agli Orfani della Misericordia o di Santa Maria Bianca[6] gestito dai padri Somaschi. Dall’incrocio dei dati, per quanto generici, si può assumere che il quadro raffigurante il San Girolamo Emiliani che riceve in consegna un’orfana attribuito allo Scarsellino (inv. DOC52), fosse in origine parte di una serie di quattro dipinti dedicati alla vita di San Girolamo Miani o Emiliani, dipinti che risultano conservati in quello che viene definito “secondo dormitorio” a partire dal 1739. L’ipotesi identificativa non trova certezza di riscontro poiché tali dipinti sembrano comparire dal nulla intorno alla data suddetta, né risultano documentati negli inventari precedenti, che pure mostrano diverse immagini del santo. Tuttavia il formato del dipinto e la scelta del soggetto, depongono a favore di una sua destinazione alla meditazione e alla devozione privata, e la stessa ubicazione pare avvalorare questa tesi (il dipinto con episodi della vita del santo fondatore dell’ordine dei Somaschi è collocato nel dormitorio dell’orfanotrofio gestito dal medesimo ordine).

Apparentemente più semplice è l’identificazione del quadro con la Vergine che legge l’officio (inv. DOC56), già attestato nel 1639, se non fosse per l’ipotesi di una datazione più tarda (più probabile il XVIII che XVII secolo) e le presumibili ridipinture che complicano ulteriormente il quadro d’insieme.

Altro esempio emblematico è quello della chiesa di Santa Maria della Rosa. A partire dal 1758 venne ricostruito il presbiterio e con esso vennero rifatte anche le decorazioni. L’intervento è documentato da un inventario del 1740, poi aggiornato sino al 1761, in cui sotto la voce altra roba comprata nell’anno 1760, troviamo: «un quadro nuovo fatto il pittore Pellegrini, rapresentante la Santissima Vergine, il Bambino, Santa Rosa»[7]. Il dipinto in questione è senz’altro identificabile con la pala d’altare che rappresenta Santa Rosa di Lima che riceve il Bambino dalla Vergine nella notte di Natale e le Zitelle che assistono al miracolo (inv. DOC23).

Sempre riferita alla suddetta ristrutturazione vi è una richiesta relativa alla benedizione del nuovo presbiterio, datata al 8 agosto 1758 che precisa:

Nell’edificarsi la chiesa del Conservatorio di Santa Maria della Rosa, ha dovuto rifarsi dai fondamenti la cappella dell’Altar Maggiore e così pure trasportare i due altari laterali della medesima, in pochissima distanza. Si è parimente dovuto farsi di nuovo il quadro per la cappella maggiore, siccome la statua di Maria Vergine Santissima vestita modestamente, colorata, da situare in un nicchio di uno de’ sopradetti altari laterali ed inoltre si è fatto di nuovo il tabernacolo o sia ciborio (….)[8]

Grazie a questi documenti siamo in grado di datare il quadro al 1758-1760.

Altre volte la documentazione rinvenuta non riguarda direttamente il quadro, bensì la data della concessione o dell’erezione della cappella sul cui altare era situata la pala oggetto di studio; essa costituisce dunque un terminus post quem, utile ai fini della datazione del dipinto.

Un esempio su tutti: il 15 marzo 1700 al canonico Domenico Maria Gatti, originario di Cento, fu concesso di erigere in Santa Barbara un benificio semplice con relativo altare dedicato a Maria Vergine e San Domenico, con l’obbligo per il sacerdote titolare, di due messe alla settimana: «il venerdì per li poveri Agonizzanti et il Sabbato ad honore di Maria Vergine»[9]. Il dato desunto dal documento facilita l’identificazione del dipinto con la Madonna del Rosario e San Domenico di Francesco Ferreri (inv. DOC20).

Paradossalmente, il gruppo di quadri che ad oggi risulta meglio documentato è l’unico che non proviene da un antico conservatorio, qual è quello di San Giovanni Battista. Alla base di ciò vi sono alcune motivazioni sostanziali.

In primis si consideri lo spoglio sistematico condotto sugli atti di quei notai che, a partire dagli anni Sessanta del XVI Secolo sino agli inizi del secondo decennio del secolo successivo, avevano lavorato per i Canonici Regolari Lateranensi. La ricerca documentaria, eseguita su atti patrimoniali in cui l’aspetto artistico è pressoché inesistente, ha condotto all’individuazione del contratto relativo alla pala con San Lazzaro di Nicolò Rosselli (inv. DOC89)[10]. In particolare, è grazie ad esso che possiamo desumere tutta una serie di importanti precisazioni. Ad esempio, vi si menziona la data di realizzazione della tavola, compresa tra il luglio 1569 e la fine di maggio 1570, termine previsto per la consegna dell’opera. Ma vi sono anche specifiche di carattere più “tecnico” e indicazioni indirizzate agli esecutori dalla committenza, come: la presenza della decorazione dell’intera cappella con “il soffitto d’azzurro stelle d’oro e Dio Padre”, la direttiva secondo cui la pala avrebbe dovuto esser realizzata su modello di quelle create dallo stesso Rosselli per la Chiesa di San Cristoforo ella Certosa con la sua ancona «con un quadro dentro fatto à olio con un San Lazzaro grande dipinto, et un altro picolo / da lontano, il quale batta alla casa del ricco Epulone occupando tutto il quadro de paesi et de altre cose che faccino de bisogno»; o ancora la particolare struttura narrativa dell’opera, in cui ad ogni piano figurativo doveva corrispondere un momento diverso della storia.

Il medesimo discorso potrebbe valere anche per la pala della cappella Nigrelli, dedicata alla Decollazione di San Giovanni Battista, opera dello Scarsellino (inv. DOC24), in cui un importante terminus post quem è offerto dalla concessione della cappella ad Antonio Nigrelli, già segretario della Ducale Camera e generoso finanziatore del convento ferrarese di San Giovanni. Proprio in considerazione delle sue benemerenze nei confronti del convento, il capitolo dei frati di San Giovanni Battista, il 5 aprile 1603 concede ad Antonio Nigrelli:

unam cappellam existentem in aula prefata, ad sinistram altaris maioris, respicente versum viam pubblicam, cum omnibus et singulis etc; cum auctoritate imponendi per dictum dominum Nigrellum ad eius beneplacitum nomen illius Sancti quod ipse videbitur». Questo a patto che il Nigrelli «intra terminem duorum annorum proxime futurorum adhornari et adimpleri fecisse dictam cappellam, eam fulcire tam de palla altaris quam de omnibus aliis ad eius ornamentum et dignitatem eiusdem cappellę spectantibus et pertinentibus prout magis et melius iam scripto domino Nigrello videbitur.

Dal fatto che non vi sono tracce di liti successive e che anzi, la famiglia conservò il giuspatronato sulla cappella fino alla sua estinzione, si può quindi desumere che il dipinto sarebbe stato realizzato, con una certa approssimazione, entro il 1605.

Per quanto riguarda la Deposizione dalla Croce (inv. DOC25), sempre dello Scarsellino, abbiamo notizie di una concessione della cappella a beneficio del giureconsulto Orazio Nigrisoli, procuratore ad lites del convento. La concessione, attestata già nel 1609, ma ancor priva dell’approvazione ufficiale, è stata ratificata soltanto il 19 maggio 1612 con la stipula del relativo rogito, a fronte dell’approvazione del Capitolo Generale, tenutosi nel convento di San Giovanni in Monte a Bologna da cui il convento di Ferrara dipendeva[11]. Dall’esame degli atti notarili apprendiamo inoltre che i lavori per la realizzazione della cappella di famiglia si protrassero con molte interruzioni fino al 1630, concentrandosi nel biennio 1628-1630. Ciò accade probabilmente poiché questa commissione è da relazionarsi con un altro lavoro eseguito dallo Scarsellino per la famiglia, ovvero le Storie di Negrosole, di cui si sono peraltro occupate Valentina Lapierre e Maria Angela Novelli.

 

L’eredità di Gaetano Sogari

L’eredità di Gaetano Sogari a favore del Conservatorio di San Giovanni costituisce un altro importante momento di ampliamento della quadreria

Gaetano Sogari (Carpi, 20 febbraio 1807 – Ferrara, 21 aprile 1869) era figlio di Giovanni e Maria Paciroli, sposatisi a Correggio il 10 giugno 1806. Nel 1829 il padre, rimasto vedovo, si risposò con Maria Montanari vedova di Giovanni Bolognesi; il figlio Gaetano prese in moglie la figlia della matrigna, Anna Bolognesi (Ferrara 1814 circa-25 luglio 1837) e dopo la prematura morte della consorte si risposò in seconde nozze con Maria Calù o Charilus. Nonostante le umili origini (nei censimenti il padre è indicato come servitore e cameriere nel 1812 e nel 1836 e nel 1861 come commerciante di libri usati), Gaetano, in qualità di barbiere flebotomo (1836) e chirurgo-dentista (1861), riuscì ad accumulare una discreta fortuna. Ciononostante, non avendo avuto figli da nessuna delle due unioni, egli si pose concretamente il problema della successione e della destinazione delle sue sostanze.

Il 18 agosto 1864 Gaetano fece testamento lasciando alla moglie solo l’usufrutto dei beni:

Di tutti poi i miei beni stabili, mobili, ori, argenti, azioni, ragioni, e tutt’altro mi trovo avere e possedere all’epoca della mia morte, ovunque esistenti di propria mia libera volontà, nomino istituisco e voglio che sia mio erede universale proprietario, però dopo la morte della infrascritta mia moglie, il Conservatorio delle Zitelle di San Giovanni Battista. Caso che all’epoca della mia morte il detto Conservatorio non esistesse, nomino istituisco e voglio che sia il Ricovero dei poveri di questa città, caso che questo fosse stato soppresso, nomino istituisco e voglio che sia l’Ospitale di Sant’Anna.

Il 23 aprile 1869 si procedette all’apertura del testamento e nel 1894, in cambio di un vitalizio e dell’alloggio, la vedova scelse di rinunciare ad ogni diritto sull’eredità del consorte. Da questo momento in poi, l’intero asse ereditario passa nelle mani della Direzione Orfanotrofi e Conservatori che, quale amministratrice del Conservatorio di San Giovanni, si occupa di mettere all’asta la maggior parte dei beni dell’eredità, inclusa la ricca quadreria. Ad ogni modo l’asta, tenutasi il 19 aprile 1894, si concluse con una vendita parziale dei quadri della collezione che anzi rimase in gran parte invenduta. In particolare, un foglietto volante inserito nella pratica asserisce che il 7 luglio 1900 si procedette alla vendita in blocco dei quadri dell’eredità Sogari; di essi solo una parte fu effettivamente alienata mentre le opere invendute furono probabilmente traslate nella chiesa di San Giovanni come risulta anche dalla seguente lista:

Quadri appartenenti al Conservatorio di San Giovanni Battista venduti ai Angiolini Raffaele e Mayr avv. Adolfo

Al signor Angiolini Raffaele

1) Madonna col Bambino e S. Giuseppe copia eseguita da Ludovico Giori tratta dall’originale di Benvenuto da Garofalo che rappresenta la visita dei Re Magi che era in S. Giorgio ed ora in Pinacoteca L. 80
2) Visita dei Magi, lavoro del 1700 L. 6,50
3) S. Giuseppe col Bambino ed un Angelo L. 5,50
12) Madonna col Bambino copia di scuola bolognese (Guido Reni) L. 5,50
17) Due putti, scuola bolognese L. 6,80
20) Quadro di frutta e funghi L. 4
21) Quadro di frutta e funghi L. 4
28) S. Giovanni Battista fanciullo L. 5,50
33) Sacra Famiglia della maniera d’Albano Bolognese L. 14
38) L’Aurora col carro del sole e le ore che danzano all’intorno copia dell’affresco di Guido Reni L. 5,50.
39) Diana con Atteone cambiato in cervo epoca 1700 L. 8
42) La B.V. Annunziata, quadretto guasto e rifatto L. 8
47) Madonna, copia del Guido Reni L. 6,50
49) La Cena di Leonardo da Vinci, basso rilievo in gesso L. 1,30
63) Le rane ed altro quadro moderno L. 8

Al signor Adolfo Mayr

14) Gesù Cristo deposto dalla Croce, S. Giovanni e le Marie, antico Greco-Bizantino L. 6,50
34) L’aurora col carro del sole e le ore che danzano all’intorno copia dell’affresco di Guido Reni L. 5,50
45) Paesaggio moderno (Oratorio Revedin) L. 1,30
60) Tela con donna, tende e Guerrieri della scuola di Ercole Grandi (molto deperita) L. 6

In allegato troviamo la seguente lettera di richiesta indirizzata al Presidente degli Orfanotrofi e Conservatori di Ferrara e datata Bologna li 25 aprile 1894:

Il sottoscritto che già ebbe ad acquistare diversi quadri all’asta nel giorno 19 corrente, esistente nel Conservatorio di San Giovanni Battista, essendogli a conoscenza di essere rimasti invenduti i quadri portanti i numeri 9-13-57 offre lire centoquaranta (£ 140) compreso la Madonna in terra cotta col Bambino, che trovasi nel primo altare a sinistra entrando dalla porta maggiore, e sempreché la stesse, in buone condizioni, non deficente in qualche parti. Quando venghi accettato la suddetta offerta, lo scrivente resta impegnato nella medesima per giorni dieci. Nell’attesa di un cenno di riscontro, con riverenza passa a dirsi Devotissimo Raffaele Angiolini.

 

 

Le diciassette Scene della vita di san Giovanni Battista di Giuseppe Caletti

Nelle note che Girolamo Baruffaldi aggiunse al manoscritto di Carlo Brisighella agli inizi del Settecento, a proposito dell’oratorio della Confraternita di San Giovanni Battista, si legge «ha questa chiesa buon numero di quadretti mobili sparsi per la chiesa sopra de’ quali Gioseffo Cremonese dipinse l’istoria della vita e morte di San Giovanni Battista». Nella stessa pagina, Giannandrea Barotti, in una data successiva, annota in margine al testo «Servono per adornare la chiesa in tempo di festa ma per l’ordinario non vi sono»[12].

La notizia è confermata anche da un inventario dei mobili della confraternita risalente al 1714 in cui, nella camera della Congregazione, troviamo indicati: «venti quadri che rapresentano la vitta di San Giovanni con cornice intaliate et dorate».Ciononostante, l’indagine condotta sull’Archivio Diocesano esaminato in tutte le sue parti costitutive – dall’Archivio della Confraternita di San Giovanni sino agli Atti della Curia e ai Registri diversorum – non ha evidenziato alcuna menzione all’alienazione suddetta. Risulta tuttavia evidente che nel 1748 la Chiesa di San Giovannino, così com’era chiamata, fu soggetta ad un quasi totale rifacimento, il che renderebbe plausibile l’affermazione del Barotti. Entro il 1851 la serie sarebbe poi confluita nella collezione Barbi-Cinti. In una copia dell’inventario della collezione, datata 1843-1851, si allude alla presenza di «Venti quadretti in tela trasversale rappresentanti la vita di San Giambatta di Giuseppe Caletti detto il Cremonese 1630», ubicati al «terzo piano, granaro, e appesi ai travi».

Non si conoscono con estrema certezza i passaggi successivi né gli spostamenti a cui furono soggetti i dipinti anche se, con ogni probabilità, essi furono venduti o ceduti dalla figlia del collezionista, Maria Giuseppa Barbi, deceduta nel 1906. In seguito, 17 delle 20 tele complessive sembrano aver trovato una nuova dimora nella chiesa di San Giovanni Battista sull’«Altare a sinistra del maggiore navata piccola», come risulta dall’inventario del 20 giugno di quell’anno: «17 quadretti dipinti a olio su tela raffiguranti episodi della vita di San Giovanni, mediocri lire 300, Autore G. Caletti il Cremonese». Ma nel 1956, a fronte di un’autorizzazione della Soprintendenza (autorizzazione n° 614 del 6 giugno 1956), la serie fu nuovamente traslata e depositata presso il Conservatorio della Provvidenza insieme ad altri quadri. Si è persa purtroppo ogni nozione degli altri tre pezzi. Esiste peraltro la possibilità che il numero delle tele desunto dall’inventario del 1938, sia in realtà comprensivo anche della moderna tavola di presentazione della serie, realizzata probabilmente da Giulio Medini proprio in occasione del collocamento in San Giovanni nello stesso anno.

Dulcis in fundo il secondo episodio della serie raffigurante il Congedo del Battista dalla famiglia. Tale tela è regolarmente citata da Carlo Ludovico Ragghianti nel 1955 nella schedatura della chiesa (cappella a destra del presbiterio), sembra essere sparita in seguito al trasferimento al Conservatorio della Provvidenza nel 1956. Nel 1969 Eugenio Riccomini nel suo volume Il Seicento Ferrarese, pubblica un dipinto di Caletti avente come soggetto L’imposizione del nome al Battista segnalandola nella collezione Bargellesi di Milano come «il secondo numero della serie delle storie di San Giovanni Battista. Fu acquistato a Ferrara nel 1950 presso l’antiquario Regazzi»[13]. La tela in oggetto sembra di altra mano e risulta di dimensioni inferiori alle altre.

***

In questa breve rassegna storiografica e documentaria, ho cercato – per quanto possibile – di mettere in luce i fili e i retroscena, le trame a tinte fosche ed i passaggi di testimone che si intersecano, celandosi dietro a questo importante patrimonio pittorico.

Ne consegue l’importanza, e con essa la necessità contingente, di studiare, documentare e rendere disponibile a tutti gli interessati, un simile repertorio artistico, concesso in gestione ai Musei di Arte Antica dalla proprietaria ASP – Azienda Servizi alla Persona.

 

Note

[1] A parte alcune campagne parziali svolte dall’allora Soprintendenza BB.AA., l’unica catalogazione completa della collezione è stata fatta nel 1993 da Chiara Toschi Cavaliere che ha inoltre attribuito ai dipinti la numerazione progressiva con cui sono ora identificati.

[2] T.M. Cerioli, La quadreria della Direzione Orfanotrofi e Conservatori di Ferrara. Brevi cenni per un percorso di lettura, “MuseoinVita. Musei di Arte Antica del Comune di Ferrara | Notizie e approfondimenti”, 2, 2015, consultabile online.

[3] B. Ghelfi, Pittura a Ferrara nel primo Seicento. Arte, committenza e spiritualità, Ferrara 2011, pp. 209-210.

[4] A. Frizzi, Diario (…) in continuazione delle Memorie per la storia di Ferrara, Ferrara 1857, p. 100.

[5] Archivio ASP – Azienda Servizi alla Persona, Residui Orfanotrofi, b. 23: Documenti antichi di San Giovanni Battista, fascicolo intitolato Rapporti fatti al governo sulla necessità di attuare un ricovero, copie non datate di notificazioni ma risalenti all’estate 1831.

[6] Archivio di Stato di Ferrara, Orfanotrofi, I deposito, busta 118, Orfani, Libro 3 Inventari inserti 3-5,7, 9.

[7] Archivio di Stato di Ferrara, Orfanotrofi, I deposito, busta 74, Santa Maria della Rosa, libro N, n. 27.

[8] Archivio di Stato di Ferrara, Orfanotrofi, I deposito, busta  76, Santa Maria della Rosa, libro P, n. 22.

[9] Archivio Storico Diocesano Ferrara, Atti di Curia, anno 1700 n° 11.

[10] Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Notarile Antico, notaio Domenico Squarzoni, matricola 772, anno 1569, cc. 49-50, 7 luglio 1569. Vedine il testo in appendice.

[11] Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Notarile Antico, notaio Giovanni Franchi, matricola 943, pacco 2. Vedine il testo in appendice.

[12] C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara…, ed. a cura di M.A. Novelli, Ferrara 1991, p. 98.

[13] E. Riccomini, Il Seicento Ferrarese, Ferrara 1969, p. 45 e figura 36b.


Appendici

1700 15 marzo, Ferrara, Erezione della cappella della Madonna e San Domenico nella chiesa del Conservatorio di Santa Barbara.
Archivio Storico Diocesano Ferrara, Atti di Curia, n° 11/1700

Errectio simplici beneficii seu cappellanie sub titulo Beatę Marię Virginis et Sancti dominici in ecclesia domicellarum Santę Barbarę

Nos Bonaventuram Martinellus rev. utroque doctore, prothonotairus apostolicus eminemtisismi et reverendissimi domini cardinsalis Paulutii Ferrarię Episcopus in spiritualibus et temporalibus vicarius generalis

Universis et singulis presentem litteram inspecturis et audituris notum facimus et attestamus quod nuper per (…) et reverendissimum dominum canonicum Dominicum Mariam Gattum nobis exsibitę e presentatę fuerunt preces una cum rescritto et decreto eis annotato tenoris sequentis, videtur foris all’illustrissimo et reverendissimo signore il signor cardinale Paolucci vescovo di Ferrara per il canonico Gatti, intus vero: eminentissimo e reverendissimo signore. Il canonico Domenico Maria Gatti humilissimo servo et suddito di vostra eminenza, inspirato dal signor iddio ha determinato d’errigere un beneficio semplice nella chiesa delle Zitelle di Santa Barbara, sotto il titolo di Maria Vergine e san Domenico de quali l’oratore per sua buona sorte porta il nome et dotarlo con un luogho casamentivo arrativo arborato e vitato che ha nella villa di Vigarano, usuato al signor Giovanni Battista Tabacchi e nepote per loro e loro eredi per annua corrisposta di scudi 25. Item un credito in capitale di scudi 100 in Cento con i signori fratelli Piombini che rende il 4.ro per cento, e con un censo con Agostino Lanzoni che è di capitale di scudi 130 che frutta annualmente scudi 7 e baiocchi 90 che tutti fruttano annualmente scudi 40 baiocchi 90 , con l’obbligo al beneficiato pro tempore di dua messe la settimana cioè il venerdì per li poveri Agonizzanti et il Sabbato ad honore di Maria Vergine e con riservarsi il jus patronato e la nomina del chierico a detto beneficio tanto pro prima vicę quanto in ogni caso di vacanza esso oratore vivente,e doppo morte si intenda riservato il jus patronato e nomina a favore di Giacomo Riccoboni nipote ex sorore e suoi discendenti maschi, con l’obbligo nominar un chierico della famiglia de Riccoboni della linea di detto Giacomo et in mancanza un chierico della famiglia de Gatti della terra di Cento che in quel tempo sarà più prossimo di grado all’oratore e che detti chierici che saranno nominati et instituiti habbino il peso di celebrar o per se stessi o per altri, al detto altare quando sarà eretto, le suddette due messe a settimana ne’ giorni sopra espressi e in tanto seguita sarà la dotazione d’esso benefitio e per il tempo che non fosse edificato l’altare, s’habbino a celebrare le dette dua messe per ogni settimana all’altare maggiore di detta chiesa che per ciò fare et adempire validamente l’oratore supplica l’Emminenza vostra stante la sua absenza concedere l’autorità al suo monsignor vicario di prestar l’assenso a detta erretione e dotatione con li pesi e condizioni sopra espresse a che sopra:

[…]

***

Contratto con Nicolò Rosselli per il San Lazzaro
Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Notarile Antico di Ferrara, Domenico Squarzoni, matricola 772, pacco 2 cc. 49-50; 1569, luglio 7, Ferrara, nel monastero di San Giovanni Battista.

Promissio pro fratribus Sancti Joannis Baptistae a magistro Nicolao / de Rossellis pictore / 1569 indictione XII, die jovis septimo julii de mane Ferrarie, / in officio factoriae infrascriptorum canonicorum posito / in eorum monasterio Sancti Joannis Baptistae presentibus testibus etc.: / Benedicto quondam Hieronimi de Peceninis Bergomense et / Jacobo filio quondam Bernardini de Zanolis de Vincen//tia servitoribus et habitatoribus in dicto monasterio et / aliis. / Magister Nicolaus Rossellus filius quondam Johanni Baptistae pictor et / civis de contrata Bucecanalium in via Sancti Benedi/cti sponte etc. , obligando se etc. , promisit et convenit / reverendo domino Petro de Bergamo canonico / regulari congregationis Lateranensis ordi/nis Sancti Augustini de Observantia abbatis mona/sterii Sancti Johannis Baptistae civitatis Ferrarie presenti et acce/ptanti ac recipienti nomine dicti Monasterii et pro se et successoribus / ipsius magistri Nicolai cappellam positam in ecclesiam dicti / monasterii ex opposito alterius cappellae pictae / et confectae per reverendum dominum Cesare de Placentiam canonicum dicti ordinis, / eius nomine, et in ea pingere quatuor figuras co/respondentes figuris pictis in dicta alia capella, / excepto tamen cęleo dictae cappellae quod, ut vulgariter dicitur, va depinto d’azuro buon et fino con le sue / stelle con un Dio Padre in Mezo et in/cipere prefata facere die lunae proximae futurae / quae erit die undecima presentis. / Et ulterius et(iam) dicto dictus magister Nicolaus ut supra obligato, promisit et convenit / dicto domino abbati ut supra stipulant recipienti conficere de bono / lignamine et arbitrio boni viri expensis eius magistri / Nicolai anconam quae cadere debeat in dicta capel/la cum duabus columnis semirotondis et, ut / vulgo dicitur, mezo tonde et similibus iis quod dictus magister / Nicolaus fecit in ecclesiam monasterii fratrum Cartusiae civitatis Ferrariae tam // respecto auri quae etiam ornamenti picturae, et / intus dictam anconam adsit et, ut vulgo dicitur, con / un quadro dentro fatto à olio con un San / Lazaro grande dipinto, et un altro picolo / da lontano, il quale batta alla casa del ricco / epulone occupando tutto il quadro de pae/si et de altre cose che faccino de bisogno et / anconam prefatam perfecisse per totum mensem maii / anni proxime futuri 1570. /

Et pro pretio seu mercedem pingendi dictam cappellam / et in ea prefata faciendi dictus reverendus dominus abbas obligando bo/na dicti monasterii, pro se et successores suos in eo, / promisit dicto magistro Nicolao stipulanti pro se etc. , dare et sol/vere eidem scutos dem octo auri [q(am) prri] / capella ipsa perfecta fuerit et picta ut supra / et scutos triginta sex auri pro pretio et fa/ctura dictae anconae per totum dictum mensem / maii proxime futuri omnis iuris et facti / remota /exceptione. /

Et ad computum pretii et facturae dictae anconae dictus / dominus abbas, in praesentia testium suprascriptorum et mei notarii / infrascripti, dedit solvit etc. , eidem magistro Nicolao praesenti et acci/pienti etc. , scutos tres auri de pecuniis / dicti monasterii et residuum solvere promisit ut supra. / Et renuntiaverunt etc. , quae omnia etc. , cum pacto exe/quutivo et de non opponendo etc., sub pena librarum 25 marchesinorum. / Et iuraverunt dicto domino abbas manu tacto pectore, dictus / vero magister Nicolaus tactis scripturis etc. .

***

Concessione di una cappella ad Orazio Nigrisoli in San Giovanni Battista
I canonici regolari della congregazione Lateranense dell’ordine di Sant’Agostino dell’Osservanza residenti in San Giovanni Battista di Ferrara, per rogito del notaio Giovanni Franchi, confermano al nobil uomo Orazio Nigrisoli, procuratore del convento, il patronato sulla cappella di San Giovanni Battista come da accordi già intercorsi nel 1609, con i patti di cui appresso.
Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Notarile Antico, matricola 943, pacco 2

In Christi nomine amen. Anno Eiusdem Nativitatis millesimo sexcentesimo duodecimo, indictione I, die vero vigesima secunda mensis junii, tempore Pontificatus sanctissimi in Christo patris et domini nostri domini Pauliì divina Providentia Pape V, anno eius octavo Ferrarię in monasterio reverendorum dominorum Canonicorum Regularium Congregationis Lateranensis ordinis Sancti Augustini de Observantia, et in camera infrascripti admodum reverendi patris abbatis, presentibus testibus vocatis et rogatis, magnifico domino Flaminio Lantio cive et notario Ferrarię, et magnifico Dominico de Feruccis cive et intersiatore Ferrarię de parocchia Sancti Romani, et aliabus.(sic!!) <prob. da leggersi aliis>.

Cum sit quod annis elapsis fuerit per v(alde) r(eveverendum) p(atrem) Dominum Bartholomeum de Bagnacavallo Canonicum Regularem ordinis Sancti Agustinii, Congregationis Lateranensis tunc abbatem monasterii Sancti Joannis Baptistę Ferrarię et illius capitulum concessum quodam altare seu capella sub titulo Sanctissmi Crucifixi, sive Depositionis Domini Nostri Ihesu Christi e Cruce cum suis sepulturis, in Ecclesia predicti monasteri situata, spectabilis juris perito domino Horatio Nigrisolio Ferriensi, sub conditionibus, pactis et modis tunc inter ipsas parte conventis, et de quibus infra; licet de ipsa concessione nulla tunc fuerit facta scriptura publica vel privata, quę quidem concessio cum fuerit quoque approbata a domino olim patre dono Arcangelo Mediolanensi tunc abbate generali totius S. Congregationis Lateranensis, per eius litteras sub datum Fiesularum die primo novembris anni pręteriti 1609, ut patet ex litteris predictis ad admodumum reverendum dominum Bartholomęum directis, et per me notarium visis et lectis; cumque inter ipsum admodum dominum Bartholomęum tunc abbatem et ipsum dominum Horatium // fuerit conventum quod prędicta omnia deberent ratificari per Capitulum generalem prędictę Congregationis, prout constet ex instrumento ratificationis predictę rogato per dominum Nicolaum Mercatum pubblicum notarium Ravennatensem de anno pręsenti die 19 maii, in pubblicam formam relevato cum suis litteris legalitatis munitis a me notario infrascripto viso et lecto, et cuius tenor in fine presentis instrumenti registratibus. Cumque in pręfato instrumento ratificationis pręsuponatur quod super supradicti altaris sive cappella prędicta concessione pubblicum fuerit confectum instrumentum, quod tamen [revera] non fuit factum nec celebratum, cupiatque modo pręfatus dominus Horatius et infrarscripti admodum RR. PP. Canonici quod de huiusmodi concessione pubblicum appareat instrumentum ad omnem bonum finem et effectum, utrique parti magi utile et proficuum.

Hinc est quod sono campanellę congregati et coadunati, ut eorum moris est, capitulariter in supra dicto loco pro infrascriptis per agendis etc de mandato infrascripti admodum reverendi patris abbatis omnes infrascripti canonici, asserentes et verbo veritatis affirmantes se esse totum et integrum capitulum prędicti Monasterii Sancti Johannis Baptistę videlicet admodum reverendum pater dominus Hippolitus Pignam Ferrariensis abbas, admodum reverendum pater dominus Eugenius de Mutina prior, admodum reverendum pater dominus Batholomęus de Bagnacaballo prior Sancti Laurentii, admodum reverendum pater dominus Angelus Michael de Bononia, admodum reverendum pater dominus __ Cremonensis, admodum reverendum pater dominus Jo. Baptista….., admodum reverendum pater dominus Gregorius Veronensis, admodum reverendum pater dominus Donatus Papiensis, admodum reverendum pater dominus Aurelius Veronensis, admodum reverendum pater dominus Johannes Andreas Ferrariensis, admodum reverendum pater dominus Innocentius……., admodum reverendum pater dominus Hercule Maria Ravvennatensis, … sponte et ex certa eorum // animorum scientia obligantes se et omnia et singula dicti Monasterii bona pręsentia et futura, per se et suos in eo successores ex una, et dictus dominus Horatius obligando se et omnia hac singula sua bona pręsentia et futura per se et suos hęredes ex altera omnique meliori modo, via jure, forma et causa quibus magis et melius potuerunt et possunt declararunt, convenerunt, concesserunt ac promiserunt sibi invicem et reciproce partibus stipulantibus et recipientibus pro se suis hęredibus ac successoribus respective singula singulis congrue et debite referendo ut in capitulis infrascriptis de ipsarum partium consensu vulgari sermone conscriptis et de verbo ad verbum ad earum et testium supradictorum claram intelligentiam per me notarium perlectis videlicet:

Prima dichiarano che veramente detto molto reverendo padre don Bartolomeo dell’anno passato 1609 mentre era abbate del Monastero suddetto, con consenso dei suoi canonici et Capitulo, concedette al detto signor Orazio l’altare et cappella predetta, con facoltà di fabbricarvi una sepoltura per se et suoi figli et descendenti et per quelli ch’avranno causa da lui; con condizione che egli dovesse finir di tutto punto la suddetta cappella et fabbricarvi et porvi una palla [honorata] et fornir anco esso altare di mantili, croce, candellieri, palio, et pianetta per una volta, et una carta da gloria con la sua cornice. Item che fosse tenuto detto signor Orazio per ricognizione del fondo pagare ad essi Reverendi Canonici et loro Monastero lire ducento. Item dichiarano che in esecuzione delle predette cose detto signor Orazio ha fatto finir la cappella con farla stabilire et resarcire et quella dipingere come sta, ponendovi//vetriata che vi si trova et facendola rilegare et farvi l’altare che hora vi si trova. Item, che in quella detto signor Orazio ha fatto fare la sepoltura che ora vi è, della quale gli sia lecito servirsi come di sopra, con patto che in quella cappella non si possi fabbricare altra cappella. Item promette il sudetto signor Orazio, obbligando come sopra, farvi porre la palla nella quale è dipinta la Deposizione di Nostro Signore Gesù Cristo di Croce, coll’ornamento dell’oro et negro già tutta posta in ordine. Item promette fornire l’altare predetto di tutti li candelieri, croce, pietra sacrata, pianeta, pallio come di sopra. Item promette et si obbliga detto signor Orazio pagar ai detti Reverendi Canonici et loro Monasterio lire ducento per la suddetta recognizione et frattanto farà l’effettual sborso, pagare ogni anno lire dieęci nella festa di San Giovan Battista del mese di giugno, cominciando far il primo pagamento nella festa di San Giovanni Battista dell’anno venturo 1613, quali sono in regione di cinque per cento all’anno. Item che ogni volta che detto signor Orazio o suoi come sopra sborseranno le dette lire 200 detti Reverendi Canonici et suoi successori siano tenuti et obbligati quelle investire o porle sopra il saccro Monte di Pietà di Ferrara a solito reddito a beneficio di essi Reverendi Canonici et loro Monastero. Item detto signor Orazio sia obbligato per l’avvenire resarcire et reparare detta cappella di tutto quello farà bisogno, eccettuato però l’intiera caduta et rovina di essa cappella. Prout sic RR.DD. Canonicis ut supra congregati et ut supra agentes et obbligantes inhęrentes prędictę concessioni et approbationi ut supra factis, easque quatenus opus sit approbantes et [erum] // et de novo dedderunt et concesserunt pręfato spectabili domino Horatio Nigrisolio, pręsenti stipulanti et recipienti, pro se et suos hęredibus, altarem prędictum et cappellam prędictam, cum [eiusdemet] declarationibus obligationibus provisionibus et pactis de quibus supra, et cum facultate ac usu sepulturę et in omnibus et per omnia prout superius et expressum omne meliori modo quo potuerunt et possunt. Et renuniaverunt nihilominus ad cautelam dictę partes ut supra agentes, exceptioni non facti et non celebrati, presentis instrumentis. Quę omnia supradicta et in pręsenti instrumento contenta dictę partes, ut supra agentes et obbligantes respective, licere et licitum esse pacti a se promissa superius servare se et suis ut supra sua propia auctoritate et sine licentia aut requisitione alicuius iudicis, offitiales, Potestatis vel Rectores, ingrediere ubicumque et de quibus pars observans et sui ut supra magis et melius eligere maluerint, et ea bona vendere, donare alienare vel pene se iusto pretio retinere, tamquam sua bona propria justo pretio empta resque ad integram solutionem totius tunc sibi debiti, suorumque damnorum, interesse, et expensas sibi invicem reficere et restituere promiserunt, et de eis stare et credere suo modo et simplici verbo absque onere sui sacramenti vel alia testium // aut jure probatione.

***

Stima dei quadri lasciati in proprietà al Conservatorio di San Giovanni Battista per testamento del fu Gaetano Sogari di Ferrara.
Archivio storico ASP – Azienda Servizi alla Persona, Aggregati, Pareschi, conti vari.
Si tratta della copia preparata per l’asta del 19 aprile 1894.

1) Madonna col Bambino e S. Giuseppe copia eseguita da Ludovico Giori tratta dall’originale di Benvenuto da Garofalo che rappresenta la visita dei Re Magi che era in S. Giorgio ed ora in Pinacoteca L. 80

2) Visita dei Magi, lavoro del 1700 L. 6,50

3) S. Giuseppe col Bambino ed un Angelo L. 5,50

4) Testa del Redentore, scuola di Guercino L. 6,80

5) S. Tomaso incredulo, scuola veneziana L. 10

6) La SS. Annunziata, scuola bolognese L. 10

7) S. Girolamo del Cremonese (Calletti) L.16,75

8) S. Ignazio (Ovale) L. 10

9) S. Pietro che piange dopo di aver negato Gesù Cristo maniera del Caraccio 27,50 L. 40

10) S. Vincenzo Ferrari del Ghedini, studio per la pala da altare che trovasi in S. Domenico L. 16,75

11) Frate che predica alle turbe maniera di Dosso Dossi L. 34

12) Madonna col Bambino copia di scuola bolognese (Guido Reni) L. 5,50

13) La manna nel deserto quadro di maniera del Bassano L. 14

14) Gesù Cristo deposto dalla Croce, S. Giovanni e le Marie, antico Greco-Bizantino L. 6,50

15) Sacra famiglia con Santa Caterina, scuola romana L. 14

16) S. Cristoforo copia dal Garofalo L. 10

17) Due putti, scuola bolognese L. 6,80

18) Guerriero con testa tronca dal busto, ed altra figura di autore ignoto L. 6,50

19) Beata Vergine col Bambino L. 5,50

20) Quadro di frutta e funghi L. 4

21) Idem L 4

22) Testa di donna con elmo L. 6,50

23 )Veduta veneziana, maniera di Canaletto L. 30

24) S. Francesco di Paola maniera di Caraccio L. 20

25) Gesù coronato di spine L. 4

26) Interno di una cucina L. 4

27) Veduta di un molo di mare L. 4

28) S. Giovanni Battista fanciullo L. 5,50

29) B. V. col Bambino, copia tratta dall’originale di Guido Reni che conservasi in una Chiesa di Bologna L. 24

30) Paesaggio dello Luccarelli L. 6,50

31) Grotta con monaco L. 0,65

32) Quadro con arnesi da cucina L. 4

33) Sacra famiglia della maniera d’Albano Bolognese L. 14

34) L’Aurora col carro del sole e le ore che danzano all’intorno copia dell’affresco di Guido Reni L. 5,50

35) Una Santa Martire maniera del Garofalo L. 27,50

36) Un Serafino, maniera dello Scarsellino

37) Altro Serafino maniera dello Scarsellino L. 6,80 L.

38) Ritratto di donna del 1700 6,80 L.

39) Diana con Atteone cambiato in cervo epoca 1700 L. 8

40) Quadro con arnesi da cucina L. 4

41) Un ferito con la sua famiglia, quadro molto guasto L. 4

42) La B.V. Annunziata, quadretto guasto e rifatto L. 8

43) Testa di Gesù Nazareno (copia antica) L. 3,50

44) Altro paesaggio del Luccarelli L. 10

45) Paesaggio moderno (Oratorio Revedin) L. 1,30

46) Madonna di scuola incerta L. 12,50

47) Madonna, copia del Guido Reni L. 6,50

48) Madonna della maniera di Garofalo molto rifatta L. 10

49) La Cena di Leonardo da Vinci, basso rilievo in gesso L. 1,30

50) La SS. Trinità maniera dello Scarsellino L. 10

51) Il Padre Eterno con Angeli, scuola bolognese L. 8

52) S. Francesco, copia del Guercino L. 3,50

53) La B. Vergine, Ovale copia di Guido Reni L. 10

54) Tobia che ridona la vista al padre, scuola bolognese L. 10

55) La deposizione dalla Croce copia dell’Allori detto Bronzino L. 10

56) Sacra famiglia L. 10

57) Coronazione della Beata Vergine scuola dello Scarsellino L. 10

58) S.M. Maddalena copia dai Guido Reni L. 4

59) S. Giovanni Battista maniera dello Scarsellino L. 4

60) Tela con donna, tende e Guerrieri della scuola di Ercole Grandi (molto deperita) L. 6

61) Cristo morto, colla B. Vergine ed Angeli di scuola incerta L. 17

62) Santo Vescovo elemosiniere, tela molto guasta L. 27,5

63) Le rane ed altro quadro moderno L. 8

64) Mezza figura con iscrizione latina L. 2,75

65) L’addolorata copia da Guido Reni L. 8

66 La notte, del Coreggio, incisione in carta con lastra e cornice L. 4

N° 3 cornici colla doratura guasta L 4

Pubblicato su “MuseoinVita” | 7-8 | 2018