Garofalo e le sue fonti*
Pubblicato su “MuseoinVita” | 9-10 | 2019
L’ambizione di questo contributo è quella di sottolineare il fatto che Benvenuto Tisi, detto il Garofalo, ha studiato l’arte dell’antico, del Quattrocento e del primo Cinquecento molto più estesamente di quanto immaginato finora. Combinando i pochi collegamenti già osservati con varie novità, proverò a illuminare quest’aspetto della pratica artistica del pittore. Quasi sempre, altri artisti del periodo hanno utilizzato le stesse fonti, ma – con qualche eccezione – non ho voluto seguire tali piste in questa occasione. Ovviamente, è possibile che io non sia riuscito a identificarle tutte e che nel corpus di Garofalo ve ne siano altre in attesa di essere evidenziate.
Invece di provare ad elencare la comparsa di queste citazioni dall’inizio della sua carriera fino alla sua morte, sembra più ragionevole organizzare il materiale in ordine cronologico, partendo dall’antichità per arrivare ai contemporanei dell’artista.
Inoltre, darò tutte le indicazioni possibili riguardante l’ubicazione all’epoca delle fonti d’ispirazione del Garofalo, ma è importante sottolineare che derivazioni di questo tipo non devono essere considerate necessariamente prove che il pittore abbia visto l’originale, dato che idee visive potevano benissimo viaggiare attraverso copie, soprattutto disegnate, ma anche dipinte.
Nelle sue Vite, Vasari dedica un capitolo alle biografie – come lo intitola – di Benvenuto Garofalo e Girolamo da Carpi pittori ferraresi ed altri lombardi[1]. Narra che il giovane Benvenuto è andato a Roma «massimamente per vedere i miracoli che si predicavano di Raffaello da Urbino, e della cappella di Giulio stata dipinta dal Buonarroto. Ma giunto Benvenuto in Roma, restò quasi disperato non che stupito nel vedere la grazia e la vivezza che avevano le pitture di Raffaello, e la profondità del disegno di Michelagnolo. Onde malediva le maniere di Lombardia, e quella che avea con tanto studio e stento imparato in Mantoa». Aggiunge che «si risolse a volere disimparare, e, dopo la perdita di tanti anni, di maestro divenire discepolo»; aggiungendo poi che «divenne amico di Raffaello da Urbino; il quale, come gentilissimo e non ingrato, insegnò molte cose, aiutò e favorì sempre Benvenuto»[2].
Come vedremo, Raffaello fu la sua più grande ispirazione, ma non sembra mai aver citato opere di Michelangelo. Più avanti, lo storiografo aretino aggiunge che «Fu amico di Giorgione da Castelfranco pittore, di Tizian da Cador, e di Giulio Romano», e anche nel caso degli ultimi due, le sue versioni delle loro invenzioni ne fa fede[3].
L’antico
Ho potuto identificare pochi esempi di elementi in dipinti del Garofalo che provengono dal suo studio dell’antico.
Il primo (fig. 1) è il putto nella Venere ferita davanti a Troia chiedendo a Marte il suo carro nelle Staatliche Kunstsammlungen a Dresda, che dipende dal putto sull’estrema sinistra del cosiddetto Trono di Saturno, ora nel Museo Archeologico a Venezia. Dal 1532 il Trono, con il suo pendant, il Trono di Nettuno, si ritrovava nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli, sempre a Venezia, dove Garofalo l’avrebbe potuto vedere, dato che la tela viene di solito datata verso 1544[4].

Fig. 1 – a sinistra: Arte romana, Trono di Saturno, I secolo d.C, Venezia, Museo Archeologico Nazionale; a destra: Garofalo, Venere ferita davanti a Troia chiedendo a Marte il suo carro, 1544 circa, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen (part.)
Nel secondo caso (fig. 2), la medesima fonte – un busto di Socrate di un tipo molto diffuso – viene ripetuto ben quattro volte, e sempre da punti di vista diversi. Diventa la testa di una figura al centro della Lapidazione di Santo Stefano nella Gemäldegalerie, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, a Berlino, e torna non solo nella sua tavola di Cristo e l’adultera nel Szepmüvezéti Museum di Budapest e in un’altra interpretazione dello stesso soggetto nella Pinacoteca Capitolina a Roma, ma anche nell’Adorazione dei pastori del Museo Pushkin a Mosca[5].

Fig. 2 – a sinistra: Arte romana, Testa di Socrate, II secolo d.C, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage; a destra: Garofalo, Lapidazione di Santo Stefano, 1540, Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie (part.)
Robert Campin e Rogier van der Weyden
Come ha già notato Lorne Campbell nella sua monografia su Rogier van der Weyden del 1980, la Sacra famiglia del Garofalo nel Städelsches Kunstinstitut a Francoforte-sul-Meno deve essere «based on a lost composition by Rogier»[6]. Infatti, il san Giuseppe dormiente rassomiglia molto alla stessa figura non solo nella Sacra Famiglia della Pala di Miraflores a Berlino, ma anche nella sua variante alla Capilla Real di Granada (fig. 3), mentre il gruppo della Madonna col Bambino fa pensare ad una Madonna col Bambino dello stretto ambiente di Robert Campin nell’Ermitage a San Pietroburgo, una invenzione che Rogier ha senz’altro conosciuto[7].

Fig. 3 – a sinistra: Rogier van der Weyden, Sacra Famiglia (dalla pala Miraflores), 1442-45, Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie; a destra: Garofalo, Sacra Famiglia, 1510-15, Francoforte-sul-Meno, Städelsches Kunstinstitut (part.)
Inoltre, è stato osservato che Garofalo ripete la figura di San Giuseppe con leggere variazioni, come per esempio l’aggiunta di una barba, nella sua Adorazione dei Pastori alla Galleria Borghese a Roma[8].
Mantegna
Per il Garofalo, Andrea Mantegna fu senza’altro il pittore più importante del Quattrocento: esistono vari echi delle invenzioni del padovano nelle sue opere, che ho discusso in un altro luogo molto recentemente[9].
La figura principale, che porta un elmo altissimo sulla testa, in una delle scene rettangolari affrescate a monocromo sul soffitto della Sala del Tesoro di Palazzo Costabili a Ferrara deriva chiaramente dello stesso modello che il protagonista del Muzio Scevola all’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera (fig. 4), prevalentemente – e giustamente – considerato della scuola di Mantegna. Comunque sia, è possible che il dipinto dello stesso soggetto visto da Marcantonio Michiel a Venezia, nella collezione di Francesco Zia, rappresentasse l’originale di questa composizione[10].

Fig. 4 – a sinistra: A. Mantegna (scuola), Muzio Scevola, 1490 circa, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek; a destra: Garofalo, Scena romana, 1503-06, Ferrara, Palazzo Costabili, Sala del Tesoro
Sempre nella Sala del Tesoro, in una delle lunette – Venere che ha già misurato le membra dei due Amori; l’uno era cresciuto quanto l’altro – è rappresentato un putto quasi identico ad una statuetta in bronzo nel Museum of Fine Arts di Houston (Texas), che si tende ad associare con Mantegna, supponendo che potesse derivare da un suo modello[11]. Il fatto che il bronzetto fosse già noto a Ferrara decenni prima è provato dalla sua citazione verso 1469 nell’affresco di Francesco del Cossa del Mese di maggio a Palazzo Schifanoia (fig. 5)[12]. Inoltre, il gruppo della Madonna svenuta colla Pia Donna che la sostiene nel Compianto sul Cristo deposto di Garofalo alla Galleria Borghese, databile verso 1530, deriva dall’incisione del Seppellimento di Cristo di Mantegna, ma sono rovesciate, come nella copia di Giovanni Antonio da Brescia[13].

Fig. 5 – a sinistra: Anonimo (da Andrea Mantegna), Putto in piedi, 1465 circa, Houston, Museum of Fine Arts; al centro: Francesco del Cossa, Maggio, 1469 circa, Ferrara, Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi (part.); a destra: Garofalo, Venere e i due Amori, 1503-06, Ferrara, Palazzo Costabili, Sala del Tesoro
Al contrario, nel Seppellimento di Cristo di Garofalo all’Ermitage di San Pietroburgo dello stesso periodo, l’orientamento della composizione è fedele al prototipo e il rapporto generale tra le due rappresentazioni è palese, mentre il modo nel quale è trasportato il corpo di Cristo, come il gesto della Maddalena colle braccia aperte, sono vicinissimi[14].
Antonio Lombardo e Giovanni Maria Mosca
Nel caso di un’altra lunetta a Palazzo Costabili – dove, nella monografia di Anna Maria Fioravanti Baraldi, l’iscrizione in latino viene tradotta come “I Ciclopidi affannati forgiano le armi, che fanno sospirare miseramente migliaia di anime” – è palese la sua derivazione da un rilievo in marmo di Antonio Lombardo all’Ermitage (fig. 6). Inoltre, dato che quest’ultimo, che rappresenta la Fucina di Vulcano, faceva parte del Camerino d’Alabastro nel Castello Estense a Ferrara ed è databile verso 1515, non ci possono essere dubbi sul fatto che il Garofalo l’abbia conosciuto. L’affresco è in parte rovinato, ma l’affinità tra le due figure principali – chiaramente ispirate dal Laocoonte – è notevole[15].

Fig. 6 – A. Lombardo, Fucina di Vulcano, 1515 circa, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage; a destra: Garofalo, I Ciclopidi forgiano le armi.. , 1503-06, Ferrara, Palazzo Costabili, Sala del Tesoro
Sempre nel contesto di fonti sculturali, è stato notato da Giorgia Mancini e Nicholas Penny la stretta rassomiglianza tra l’atteggiamento della figura femminile nuda nel Sacrificio pagano di Garofalo alla National Gallery di Londra, che porta sull’altare la data MDXXVI AG, e il protagonista di un rilievo in marmo di Giovanni Maria Mosca rappresentante Didone in una collezione privata a New York, databile verso 1525. Come è stato ipotizzato dai due studiosi, non è da escludere che abbianno una fonte antica in comune «and Garofalo may have studied the same prototype rather than, or in addition to, the modern relief»[16].
Leonardo da Vinci
Nell’affresco dell’Ultima Cena proveniente dal refettorio del convento di Santo Spirito a Ferrara, ora trasportato su nuovo supporto e nella Pinacoteca Nazionale della città, Garofalo rivela la sua conoscenza del famosissimo dipinto murale del Cenacolo di Leonardo da Vinci a Santa Maria delle Grazie a Milano. Nelle parole della Fioravanti Baraldi: «Il richiamo all’esempio di Leonardo è evidente», ma stranamente ne cita puntualmente solo due figure: l’apostolo sull’estrema sinistra viene copiato nella stessa posizione, ma diventa anche il quinto apostolo dalla sinistra, mentre l’apostolo colle braccia aperte accanto a Cristo sulla sua sinistra viene ripetuto (fig. 7)[17].

Fig. 7 – sopra: Leonardo, Ultima cena, 1494-98, Milano, Santa maria delle Grazie, refettorio; sotto: Garofalo, Ultima cena, 1544, Ferrara, Pinacoteca Nazionale
Albrecht Dürer
È ben noto che per gli artisti italiani della prima metà del Cinquecento le stampe di Dürer hanno avuto un immenso fascino, non solo per gli l’insieme delle loro composizioni ma anche per i più piccoli particolari.
Come ha chiarito Mauro Lucco, nel caso di Garofalo il fatto che il suo maestro Domenico Panetti fosse uno appassionato studente di Dürer è fondamentale[18]. Molte volte hanno copiato animali e, nell’opera di Garofalo, troviamo due citazioni del primate dall’incisione della Madonna e Bambino con una scimmia (fig. 8, nella Madonna e Bambino con i santi Domenico e Caterina da Siena alla National Gallery di Londra e nell’Adorazione dei Magi della Gemäldegalerie, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Berlino), e ben tre – fino ad ora inosservate – del cane nella xilografia dell’Annuncio a Gioacchino nella Marienleben (in due Adorazioni dei pastori in collezioni private, e nella soprammenzionata Adorazione dei Magi a Berlino)[19].

Fig. 8 – a sinistra: A. Dürer, Madonna della scimmia, 1498, incisione; al centro: Garofalo, Madonna e Bambino con i santi Domenico e Caterina da Siena, 1499-1502 circa, Londra, National Gallery (part.); a destra: Garofalo, Adorazione dei Magi, 1509-12, Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie (part.)
Mancini e Penny negano il collegamento della scimmia nelle tavole a Londra e Berlino con Dürer, ma il fatto che nella seconda il cane sia così puntualmente preso da lui sembrerebbe contraddirli[20]. Inoltre, recentemente è stato sottolineato – sempre da Lucco – che Garofalo cita anche elementi architettonici dagli sfondi di varie stampe di Dürer: gli edifici nella sua Madonna e Bambino coi santi Domenico e Caterina da Siena alla National Gallery di Londra sono adattamenti dalla xilografia di Sansone che uccide il leone, quelli nella Madonna col Bambino della Cà d’Oro a Venezia dall’incisione di Dürer del Figliolo prodigo, e quelli della Madonna col Bambino del Art Institute di Chicago dalla xilografia della Pietà nella Grande Passione[21].
Accettando tutte queste citazioni, l’idea che il gruppo della Vergine e Bambino nella tavola di Chicago sia adattato dall’incisione della Madonna e Bambino con una scimmia non deve sembrare improbabile[22].
Infine, vale la pena aggiungere che il vecchio barbuto colle braccia incrociate portando un turbante sotto l’arco nella Flagellazione di Garofalo alla Galleria Borghese a Roma è copiato dalla figura corrispondente nella stessa collocazione nella xilografia dello stesso soggetto nella Piccola Passione di Dürer[23].
Raffaello
Non ci possono essere dubbi che l’artista più citato da Garofalo è stato il suo amico Raffaello, e può forse sorprendere che i riferimenti non siano solamente di opere del suo periodo romano.
Analizzandoli più o meno nell’ordine cronologico delle fonti, la prima opera studiata da Garofalo è stata la Madonna del Prato, nota anche come la Madonna del Belvedere (Kusthistorisches Museum a Vienna), che porta la data MDVI sul collare della Vergine, la cui testa – rovesciata – ricompare all’estrema sinistra della Strage degli innocenti del 1519 nella Pinacoteca Nazionale a Ferrara (che cita anche una delle donne nella Cacciata di Eliodoro delle Stanze Vaticane)[24]. Non si sa l’ubicazione della Madonna raffaellesca prima del tardo Seicento, ma è palese che essa era ugualmente conosciuta da Ludovico Mazzolino, che ne cita – nel senso giusto – la Vergine della sua Sacra Famiglia con San Nicola da Tolentino, la Trinità, e angeli alla National Gallery (fig. 9). Non è impossibile che abbiano studiato qualche disegno preparatorio, visto che l’inclinazione della testa della Vergine nelle loro versioni è più esagerata – ma nello stesso tempo identica[25].

Fig. 9 – a sinistra: Raffaello, Madonna del Belvedere, 1506, Vienna, Kusthistorisches Museum; al centro: Garofalo, Strage degli innocenti, 1519, Ferrara, Pinacoteca Nazionale (part.); a destra: L. Mazzolino, Sacra Famiglia con san Nicola da Tolentino, la Trinità e angeli, 1520, Londra, National Gallery (part.)
Seguono due citazioni della stessa figura di uomo barbuto in piedi accanto al cosiddetto Eraclito nella Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura in Vaticano: gioca il ruolo di San Giuseppe nell’Adorazione dei pastori già nella collezione di Gordon Richardson a Londra, e ugualmente nella Madonna che adora il Bambino, San Giuseppe e l’angelo della collezione Douglas Pennant a Penrhyn Castle nel Galles[26].
L’omaggio più esplicito al protagonista della Santa Cecilia di Raffaello, all’epoca nella chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna e ora nella Pinacoteca Nazionale della città, si ritrova in una sua pala per Santa Maria Nuova a Ferrara, ora a Palazzo Barberini a Roma, ma non solo. Torna anche come uno degli apostoli nella sua Ascensione di Cristo e poi in una Madonna col Bambino e due santi di 1517, dove la figura femminile rappresentata in forma di scultura sul basamento del trono dipende dalla stessa santa[27].
Una tela di dimensioni monumentali rappresentante l’Andata al Calvario (Santa Veronica) all’Ermitage di San Pietroburgo, che non compare nella monografia di Anna Maria Fioravanti Baraldi, ma che è sicuramente autografa, manifesta una chiara dipendenza dello Spasimo di Sicilia di Raffaello, all’epoca a Palermo, e forse noto a Garofalo attraverso l’incisione di Agostino Veneziano datato 1517 (fig. 10).

Fig. 10 – a sinistra: Raffaello, Spasimo di Sicilia, 1517 circa, Madrid, Museo del Prado; a destra: Garofalo, Andata al Calvario (Santa Veronica), 1528-31, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
Ci sono varie differenze – come l’inclusione di Santa Veronica e del ritratto di un commitente barbuto che sembra potersi identificare con Ercole II – ma le figure di Cristo, di Simone da Cirene, e della Vergine sono molto simili, anche se l’ultima non estenda più le braccia, e unisce invece le sue mani in preghiera[28].
Nel caso della dipendenza dalla cosiddetta Perla di Raffaello al Prado della Sacra famiglia con i Santi Gioacchino, Anna, Elisabetta, e Giovannino di Garofalo nella Gemäldegalerie, Staatliche Kunstsammlungen, a Dresda, l’unica citazione assolutamente esatta è di San Giovannino, ma la composizione dell’intero gruppo di figure, come la presenza della culla, confermano la dipendenza[29].
Nella sua discussione della pala garofalesca raffigurante la Lapidazione di Santo Stefano (ora a Berlino), la Fioravanti Baraldi propone una stretta connessione con la pala dello stesso soggetto eseguita da Giulio Romano per Genova, opinione che non posso condividere, ma nota anche rapporti tra una figura che descrive come «l’aguzzino in primo piano in posa di “lanciatore”» e Raffaello, legandola ad una delle figure per gli arazzi della Cappella Sistina. In effetti, Raffaello sembra aver inventato varie figure di questo tipo non solo per l’arazzo della Conversione di San Paolo, e anche per l’incisione di Marcantonio Raimondi di Davide e Golia, ma il più vicino alla figura di Garofalo – benché rovesciata – si ritrova nell’affresco della Caduta di Gerico nelle Logge Vaticane[30].
Per quanto riguarda due altre opere di Garofalo il rapporto con invenzioni di Raffaello è totalmente diverso. Come racconta il Vasari nella Vita di Benvenuto Garofalo e Girolamo da Carpi, quando Papa Paolo III visitò Ferrara nel 1543 «mostrando una volta il duca di Ferrara a papa Paolo Terzo un trionfo di Bacco a olio, lungo cinque braccia, e la Calunnia d’Apelle, fatti da lui in detta età [«nell’età di sessantacinque anni», come spiega prima] con i disegni di Raffaello da Urbino (i quali quadri sono sopra certi camini di Sua Eccellenza), restò stupefatto quel pontefice che un vecchio di quell’età, con un occhio solo, avesse condotti lavori così grandi e così begli»[31]. Si tratta di notizie piuttosto precise: il Trionfo di Bacco in India, eseguito da Garofalo per il Camerino d’Alabastro di Alfonso I a Ferrara, ora nella Gemäldegalerie, Staatliche Kunstsammlungen, a Dresda, è ispirato ad un disegno perduto di Raffaello noto attraverso copie[32]. Ugualmente, nel caso della Calunnia di Apelle, il disegno di Raffaello non sembra più esistere, ma l’invenzione era notissima e veniva conservata attraverso varie copie. Fino a 1992 anche il dipinto di Garofalo era considerato perduto, ma in quell’anno l’originale è stato venduto da Sotheby’s a Londra[33].
Tiziano
Il primo contatto tra Tiziano – secondo Vasari, un altro amico di Garofalo – e la Ferrara di Alfonso d’Este accadeva nel 1516, e il risultato ne fu la sua squisita Tributo della moneta, ora nella Gemäldegalerie, Staatliche Kunstsammlungen, a Dresda. Purtroppo, la replica di questa tavola eseguita da Garofalo, una tela alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, non può annoverarsi tra i suoi capolavori[34].
Marcantonio Raimondi
Come tanti altri artisti della prima metà del Cinquecento, Garofalo ha studiato a fondo le stampe, non solo nordiche, ma anche italiane. Un esempio indiscutibile – anche se mai osservato – di una tale dipendenza è la figura vista di spalle verso il margine destro della sua Trasformazione di Pico in picchio nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, che ripete una figura più o meno nell’identico atteggiamento presente nel Ratto di Elena di Marcantonio Raimondi, noto anche in una versione di Marco Dente da Ravenna (fig. 11)[35]. Un secondo omaggio si rivela nella sua Natività con Lionello del Pero (Madonna del riposo) e due sue varianti, che – come è stato riconosciuto da Alessandro Ballarin – rovesciano la Vergine nella Madonna dalla coscia lunga di Marcantonio[36].

Fig. 11 – a sinistra: M. Raimondi, Ratto di Elena, 1515 circa, incisione; a destra: Garofalo, Trasformazione di Pico in picchio, 1527 circa, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini
Jacopo Caraglio
Proseguendo lo stesso argomento, si nota anche che le due finte statue nelle nicchie nella Circoncisione di Garofalo, datata 1537 (Collezione Bargellesi, Genova), sono citazioni da due incisioni nella serie di Divinità in nicchie di 1526 di Jacopo Caraglio da Rosso Fiorentino: sulla sinistra la figura di Nettuno e sulla destra la figura di Plutone[37].
Parmigianino
Non sarebbe per niente sorprendente se Garofalo fosse ispirato da opere del Parmigianino. Recentemente un disegno di Cristo tra i dottori al British Museum a Londra, ben noto a Bologna nel Cinquecento, ma studiato anche da Garofalo, che ne cita due figure seduti in primo piano in una sua tavola dello stesso soggetto nella Galleria Sabauda a Torino, è stato attribuito precisamente al Mazzola[38]. Confesso di non essere totalmente convinto dell’attribuzione, ma non cambia il fatto che l’invenzione incantava Garofalo, non solo nel suo aspetto figurativo ma anche per la sua architettura. Infatti non è stato notato, seppur sia evidente, che i fondi architettonici della sua tela delle Nozze di Cana nell’Ermitage a San Pietroburgo, come del suo soprammenzionato Cristo e l’adultera a Budapest, ne citano vari elementi puntualmente (fig. 12)[39].

Fig. 12 – a sinistra Parmigianino (attribuito), Cristo tra i dottori, 1520-25 circa, Londra, British Museum, inv. 1857,0520.63; a destra Garofalo, Nozze di Cana, 1531, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
Nel caso di un’altra proposta di Joannides, condivido pienamente l’idea che il gruppo della Vergine col Bambino nella garofalesca Madonna in trono con il Bambino tra gli angeli musicanti e i Santi Giovanni Battista, Contardo d’Este, e Lucia nella Galleria Estense di Modena derivi da un disegno di Parmigianino a Capodimonte a Napoli o da una sua variante perduta[40].
Giulio Romano
Il rapporto tra Raffaello come inventore e Garofalo come esecutore viene ripetuto con Giulio Romano. Quest’ultimo ha fornito al ferrarese un disegno, o alcuni disegni, al suo amico Garofalo – secondo Vasari, che ha conosciuto e l’uno e l’altro – per un quadro destinato a Ercole II d’Este, Duca di Ferrara.
L’opera in questione è la tela, recentemente riscoperta, rappresentando l’Allegoria di Ercole d’Este e di Ferrara nella collezione del Principe di Liechtenstein, che si deve supporre commissionata non prima della successione di Ercole al ducato a seguito della morte di Alfonso I nel 1534, e che può benissimo essere interpretata come una specie di celebrazione della sua elevazione, offrendo quindi un possibile terminus post quem[41]. Esistono due sciupati disegni del prototipo giuliesco, le cui dimensioni sono all’incirca la metà di quelle del dipinto, uno agli Uffizi e l’altro al Louvre, ma c’è anche uno studio autografo a penna a Washington (fig. 13), mai associato col progetto, ma connesso col dio fluviale nella tela, che molto probabilmente serviva anche come una prima idea per una figura corrispondente nella Sala di Psiche a Palazzo Te[42].

Fig. 13 – a sinistra: Giulio Romano, Divinità fluviale, 1528, Washington, National Gallery of Art, Richard King Mellon Charitable Trusts, inv. 1973.29.1; a destra: Garofalo, Allegoria di Ercole d’Este e di Ferrara, 1534 circa, Vienna, Liechtenstein Collections
Potrebbe esistere un altro collegamento – ipotetico – tra Giulio e Garofalo: in una Madonna col Bambino cogli strumenti della Passione di Girolamo da Carpi e una Sacra Famiglia con san Giovannino e santa Elisabetta di Garofalo in una collezione privata a Parma, l’atteggiamento molto insolito del Bambino Gesù appare identico, seppure in controparte. A mio avviso, e non è un caso unico, l’intera composizione del dipinto di Girolamo potrebbe basarsi su un disegno di Giulio Romano, ma bisogna ammettere che non sembrano esistere, al momento, disegni collegabili di – o da – Giulio di una tale invenzione[43].
Note
* Come spiega Giorgio Vasari, dall’età di 48 anni Garofalo ha perso la vista da un occhio, e molto dopo è diventato completamente cieco. Anche io sono diventato monocolo, nel 1998 quando avevo 42 anni, e questo sembra un simpatico collegamento attraverso i secoli che ci dividono, e una bella scusa per un articolo dedicato a lui, sperando di non seguirlo nella cecità totale.
[1] G. Vasari, Le opere di Giorgio Vasari con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, vol. VI, Firenze 1878-85, pp. 457-529, in particolare pp. 457-469, per la biografia di Garofalo.
[2] Op. cit., pp. 460-462.
[3] Op. cit., pp. 468-469.
[4] A.M. Fioravanti Baraldi, Il Garofalo: Benvenuto Tisi pittore (c. 1476-1559). Catalogo generale, Rimini 1993, pp. 192-194, n. 125; P.P. Bober and R.O. Rubinstein, Renaissance Artists and Antique Sculpture: A Handbook of Sources, Oxford e Londra 1986, pp. 90-91, n. 52B.
[5] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 244, n. 177, e p. 266, n. 193, per i dipinti di Berlino e Budapest, dove il secondo viene dato a Garofalo e bottega; T. Kustodieva e M. Lucco, Garofalo: Pittore della Ferrara Estense, cat. della mostra, Castello Estense, cat. della mostra (Ferrara, Castello Estense, 5 aprile – 6 luglio 2008) Milano 2008, pp. 119 e 173-174, n. 58 (scheda di M. Danieli), pp. 126 e 176–177, n. 63 (scheda di M. Danieli), pp. 127 e 177, n. 64 (scheda di M. Danieli), per gli ultimi tre. Si veda anche D. Ekserdjian (a cura di), Treasures from Budapest: European Masterpieces from Leonardo to Schiele, cat. della mostra (Londra, Royal Academy of Arts, 25 settembre – 12 dicembre 2010) Londra 2010, pp. 74 e 237, n. 43 (scheda di D. Ekserdjian), per il collegamento della testa nella tavola di Budapest con il busto di Socrate.
[6] L. Campbell, Van der Weyden, Londra 1980, pp. 18-19, fig. 11; D. De Vos, Rogier van der Weyden: The Complete Works, New York 1999, p. 166, fig. 256; Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 119-120, n. 46; Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 90 e 162-163, n. 33 (scheda di M. Danieli).
[7] De Vos, Van der Weyden cit., pp. 226-233, n. 12, in particolare p. 228, e p. 231, fig. 12a, e F. Thürlemann, Robert Campin: A monographic study with critical catalogue, Monaco di Baviera, Berlino, Londra, New York 2002, p. 197, fig. 210, come attribuito al ‘Master of the Louvain Trinity’.
[8] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 110-111, n. 37.
[9] D. Ekserdjian, L’eredità: da Garofalo e Correggio a Rubens, Rembrandt e oltre, in S. Bandera, H. Burns, V. Farinella (a cura di), Andrea Mantegna: rivivere l’antico, conoscere il moderno, cat. della mostra (Torino, Palazzo Madama, 12 dicembre 2019 – 4 maggio 2020), Venezia 2019, pp. 258-265, e p. 258 per Garofalo.
[10] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 80-87, n. 13, in particolare p. 83; R. Lightbown, Mantegna: With a Complete Catalogue of the Paintings, Drawings and Prints, Oxford 1986, pp. 469-470, n. 139, e tav. 168.
[11] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 87, n. XIII; G. Agosti e D. Thiébaut, Mantegna 1431-1506, cat. della mostra, (Paris, Musée du Louvre, 26 settembre 2008 – 5 gennaio 2009), Paris 2008, pp. 242-243, n. 85 (schede di G. Agosti e J. Stoppa).
[12] J. Montagu, recensione di Renaissance Bronzes in American Collections, “Burlington Magazine”, CVIII, 1966, p. 46, per il collegamento; A. Bacchi, Francesco del Cossa, Soncino (CR) 1991, p. 73, per l’affresco.
[13] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 209, n. 140; J. Martineau (a cura di), Andrea Mantegna, cat. della mostra (Londra, Royal Academy, 17 gennaio – 5 aprile 1992, e New York, Metropolitan Museum of Art, 9 maggio – 12 luglio 1992), Milano 1992, pp. 199-204, nn. 38-40 (schede di D. Landau).
[14] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 210, n. 141.
[15] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 87, n. XIV; J. Pope-Hennessy, An Introduction to Italian Sculpture: Volume II, Italian Renaissance Sculpture, Londra 2000, p. 338, tav. 327, e p. 426, per il rilievo; F. Haskell e N. Penny, Taste and the Antique: The Lure of Classical Sculpture 1500-1900, New Haven e Londra 1982 (ed. rist.), pp. 243-247, n. 52, fig. 125, per il Laocoonte.
[16] G. Mancini and N. Penny, The Sixteenth Century Italian Paintings, vol. III: Bologna and Ferrara, National Gallery Catalogues, New Haven e Londra 2016, pp. 246-255, figg. 1-10, in particolare figg. 4 e 6; Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 190-192, n. 124.
[17] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 257-58, n. 188; F. Zöllner, Leonardo da Vinci 1452-1519: The Complete Paintings and Drawings, Hong Kong, Colonia, Londra, Los Angeles, Madrid, Parigi, Tokyo 2007, pp. 124-129.
[18] Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., M. Lucco, «Inurbamento culturale di un “terrazzano schifiltroso», pp. 17-27, e in particolare pp. 19-20a.
[19] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 66-68, n. 1 (scimmia), pp. 89-90, n. 15 (cane), pp. 93-94, n. 18, e tav. IV (cane), pp. 100 e 102, n. 24 (scimmia e cane); W. Hütt, Albrecht Dürer 1471 bis 1528: Das gesamte graphische Werk, vol. II, Herrsching senza data, pp. 1882 e 1554.
[20] Mancini e Penny, Bologna and Ferrara cit., pp. 210-219, e p. 216, fig. 7 per un particolare ingrandito della scimmia.
[21] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 66-68, n. 1, e Hütt, Albrecht Dürer cit., p. 1725; Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 68-69, n. 2, Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 55 e 143-144, n. 1 (scheda di M. Danieli), e Hütt, Albrecht Dürer cit., p. 1899; e Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 68-71, n. 3, e Hütt, Albrecht Dürer cit., p. 1540.
[22] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 68-71, n. 3, e Hütt, Albrecht Dürer cit., p. 1882.
[23] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 200-01, n. 132, Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 82 e 157-158, n. 25 (scheda di M. Danieli), e Hütt, Albrecht Dürer cit., p. 1609.
[24] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 142-44, n. 72, e tav. XVII; Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 84 e 159, n. 27 (scheda di M. Danieli): J. Meyer zur Capellen, Raphael: A Critical Catalogue of his Paintings. Volume I: The Beginnings in Umbria and Florence, ca. 1500-1508, Landshut 2001, pp. 214-219, n. 26, per la Madonna; e L. Dussler, Raphael: A Critical Catalogue of his Pictures, Wall-Paintings and Tapestries, Londra e New York 1971, pp. 79-80, e tav. 135, per la Cacciata.
[25] Mancini e Penny, Bologna and Ferrara cit., pp. 350-357.
[26] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 128-129, n. 56, pp. 151-152, n. 85; Dussler, Raphael cit., pp. 73-74, e tav. 124.
[27] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 124-25, n. 52, pp. 165-66, n. 100; J. Meyer zur Capellen, Raphael: A Critical Catalogue of his Paintings. Volume II: The Roman Religious Paintings, ca. 1508-1520, Landshut 2005, pp. 48-49, 124-132, n. 55; D. Ekserdjian, La discendenza della Santa Cecilia di Raffaello, in D. Cauzzi e C. Seccaroni (a cura di), La Santa Cecilia di Raffaello: Studi e indagini, Milano 2015, pp. 57-75, in particolare pp. 64-65 e p. 67, fig. 10.
[28] Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 14-105 pp. 169-170, n. 44 (scheda di T. Kustodieva); Meyer zur Capellen, Raphael Volume II cit., pp. 150-157, n. 59.
[29] Meyer zur Capellen, Raphael Volume II cit., pp. 60-61, e 183-189, n. 64; Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 231, n. 163.
[30] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 244, n. 177; J. Shearman, Raphael’s Cartoons in the Collection of Her Majesty the Queen and the Tapestries for the Sistine Chapel, Londra 1972, fig. 20; I.H. Shoemaker e E. Broun, The Engravings of Marcantonio Raimondi, cat. della mostra (Lawrence, Spencer Museum of Art, University of Kansas, 16 novembre 1981 – 3 gennaio 1982; Chapel Hill, Ackland Art Museum, University of North Carolina, 10 febbraio – 28 marzo 1982; Wellesley, Mass., The Wellesley College Art Museum, 15 aprile – 15 giugno 1982, Lawrence 1981, pp. 166-167, n. 53; N. Dacos, Le logge di Raffaello: Maestro e bottega di fronte all’antico, 2.a edizione aggiornata, Roma 1986, tav. XXXIXb.
[31] Vasari, Le opere cit., vol. VI, p. 467.
[32] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 252-55, nn. 185 e 185a. Inoltre, va notato che l’atteggiamento del fauno sull’estrema destra della tela è identico – a rovescio – al protagonista dell’incisione di Marcantonio Raimondi rappresentando Sileno sostenuto da un bacchante giovane (Shoemaker e Broun, Marcantonio Raimondi cit., pp. 164-165, n. 52).
[33] Old Master Paintings, Sotheby’s, Londra, 9 dicembre 1992, n. 41; per la tela, Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 253-254, negando – basandosi su una fotografia – l’attribuzione a Garofalo; J.-M. Massing, Du texte à l’image: La calomnie d’Apelle et son iconographie, Strasburgo 1990, pp. 292-309, nn. 12A-12C.b, per varie copie del disegno perduto di Raffaello.
[34] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 188-89, n. 120a; F. Pedrocco, Titian: The Complete Paintings, Londra e New York 2001, p. 113, n. 50.
[35] Ho evidenziato questo collegamento in D. Ekserdjian, Establishing a Norm for the High Renaissance: Raphael and the Dissemination of a Style, in H. Miesse and G. Valenti (a cura di), Modello, regola, ordine: Parcours normatifs dans l’Italie du Cinquecento, Rennes 2018, pp. 217-35, p. 229, nota 56. Per l’opera di Garofalo cfr. Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 227-28, n. 159, per l’incisione Hommage à Raphaël: Raphaël dans les collections françaises, catalogo della mostra (Paris, Grand Palais, Parigi, 15 novembre 1983 – 13 febbraio 1984), Paris 1983, pp. 369-370, n. 58.
[36] A. Ballarin, Dosso Dossi: La pittura a Ferrara negli annni del ducato di Alfonso I, vol. II, Cittadella (PD) 1995, figg. 728-729, per il collegamento. Si veda anche Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 175-178, n. 108, tav. XXIII, p. 178, n. 109, e pp. 178 e 180, n. 110, e Shoemaker e Broun, Marcantonio Raimondi cit., pp. 178-179, n. 59. Si veda anche Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 82 e 157-158, n. 25 (scheda di M. Danieli), per la proposta che lo sgherro a sinistra derivi dalla Strage degli Innocenti di Marcantonio, dove gli atteggiamenti mi sembrano troppo diversi per esserne certi.
[37] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 238-39, n. 172; E.A. Carroll, Rosso Fiorentino: Drawings, Prints, and Decorative Arts, cat. della mostra (Washington, National Gallery of Art, 25 ottobre 1987 – 3 gennaio 1988), Washington 1987, p. 104, n. 25, e p. 106, n. 27.
[38] P. Joannides, A Bolognese Project by the Young Parmigianino, “Master Drawings”, XLVI, n. 3, 2008, pp. 353-366; e Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 182-83, n. 114.
[39] Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., p. 218, n. 147, e p. 266, n. 193 (con il numero dell’illlustrazione sbagliato); e Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 99 e 166, n. 41 (scheda di T. Kustodieva), e p. 126 e 176-177, n. 63 (scheda di M. Danieli). Nei commenti sul dipinto nella letteratura su Garofalo, manca qualsiasi osservazione sul fatto, palese, che gli sposi sono vestiti in costumi moderni e che sono ritratti, forse dei committenti.
[40] Joannides, Master Drawings cit., p. 366, nota 34, per il collegamento; Fioravanti Baraldi, Garofalo cit., pp. 222-223, n. 152, per il dipinto; e A. Gnann, Parmigianino: Die Zeichnungen, vol. I, Petersberg 2007, vol. I, pp. 439-440, e vol. II, p. 446, n. 565, per il disegno.
[41] Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., p. 111, tav. 50, and p. 170, n. 50 (scheda di M. Danieli), per il dipinto, con riferimenti generici a Giulio. Si veda anche D. Ekserdjian, Footprints in the snow: Renaissance borrowings and their “missing” sources, “Jahrbuch des Kunsthistorischen Museums Wien”, XI, 2009, pp. 42-55, e in particolare p. 45, per l’ipotesi che il dipinto di Garofalo «is actually based upon an invention of Giulio Romano’s», e Id., Giulio Romano as Impresario: Disegno, Delegation, and Dissemination, in corso di pubblicazione negli Atti del Convegno su Giulio Romano tenuto a Mantova nel 2019.
[42] A. Bliznukov, “Giulio Romano invenit, Garofalo e Girolamo da Carpi pinxerunt”, in D. Ferrari e S. Marinelli (a cura di), Scritti per Chiara Tellini Perina, Mantova 2011, pp. 87-93, e in particolare fig. 3, per il disegno danneggiato ma forse autografo degli Uffizi (42.8 x 49 cm). Lo stato di conservazione del disegno del Louvre, che viene discusso estesamente sul sito internet del Département des Arts Graphiques, è similmente pessimo (inv. n. 3489-recto, penna e acquarello bruno, rialzato di biacca, su carta preparata bruno chiaro, mm 417 x 509). Si veda anche Giulio Romano, cat. della mostra (Mantova, Palazzo Te e Palazzo Ducale, Mantova, 1 settembre – 12 novembre 1989), Milano 1989, p. 146, per un particolare del dio fluviale nella Sala di Psiche, un’opera che fu terminata nell’estate di 1528, e J. Cox-Rearick (a cura di), Giulio Romano: Master Designer, cat. della mostra (New York, Hunter College, 16 settembre – 27 novembre 1999), Seattle (WA) 1999, pp. 82-83, n. 19 (scheda di C. Begley), per il disegno.
[43] Kustodieva e Lucco, Garofalo cit., pp. 111, e 169-170, n. 49 (scheda di M. Danieli); A. Mezzetti, Girolamo da Ferrara detto da Carpi, Ferrara 1977, pp. 103-104, n. 146. Si veda anche Mancini e Penny, Bologna and Ferrara cit., pp. 19-20, fig. 6, per una tavola della Pesca miracolosa a Apsley House a Londra, che viene catalogato come «Garofalo or workshop», e A. Bliznukov, Per Girolamo Marchesi: dagli esordi al soggiorno bolognese, “Proporzioni”, VI, 2006, pp. 52-68, in particolare p. 61, e fig. 105, per l’attribuzione – a mio avviso convincente – del dipinto a Girolamo Marchesi da Cotignola.
Pubblicato su “MuseoinVita” | 9-10 | 2019